Costa Vincenzo

Vincenzo Costa

Nato l’11.09.1921 a Tambre (BL)

Intervista del: 04.12.2001 a Tambre (BL) realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 78 – durata: 39′ circa

Arresto: L’11.01.1945 a casa

Carcerazione: Baldenich (BL)

Deportazione: Bolzano

Liberazione: a Bolzano, all’inizio di maggio 1945

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

D: Come ti chiami?

R: Costa Vincenzo.

D: Dove sei nato?

R: A Bros, Comune di Tambre.

D: Vincenzo, quando sei nato?

R: l’11 settembre del 1921.

D: Ecco Vincenzo, ci puoi raccontare la tua storia.

R: Devo cominciare da dove? Aspetta, aspetta. La storia dei partigiani insomma. Di modo che ho girato il mondo.

D: La storia dei partigiani, vediamo la storia dei partigiani.

R: Allora è arrivato, partigiani dalla bassa, da Treviso.

D: Quando questo? Quando sono arrivati?

R: Ad agosto. Ad agosto del 1943, 1944. Del 1944, dicendo Che cosa fate voi altri qua, andate con i tedeschi o andate con i partigiani?” e abbiamo scelto, andiamo con i partigiani. Allora siamo andati al palughetto nel bosco che ci hanno dato il nome di battaglia, allora io ero Spada. Il mio nome di battaglia era Spada.

Là poi ci siamo messi d’accordo e siamo andati partigiani, giù a Vittorio Veneto. In quelle zone là.

D: Scusa Vincenzo, voi dovevate fare delle azioni ben precise come partigiani?

R: Caso mai si vedeva i tedeschi, si doveva combatterli.

D: Tu con chi eri?

R: Con la brigata Fratelli Bandiera.

D: Ti ricordi qualche nome di qualche tuo compagno partigiano? Che c’era con te?

R: Sì, i nomi di battaglia o i nomi.

D: Quelli che vuoi.

R: Gufo, Ascaro…

D: Dopo se ti vengono in mente ce li dici. Quindi siete arrivati tutti, e ti sei aggregato a questa formazione partigiana e dove eravate come zona ad operare?

R: Allora, da Cansiglio fino a Vittorio Veneto.

D: Lì avete fatto qualche azione voi?

R: No, azione proprio di combattimento no. Abbiamo sparato un po’ da lontano, poi si doveva scappare, perché noi eravamo in pochi ed i tedeschi erano in tanti ed eravamo armati così, non tanto.

D: Le armi dove siete andate a prenderle?

R: Ce le hanno date là a Vittorio Veneto, ce le hanno date a Vittorio Veneto, sì ce le hanno date.

D: Lì sei rimasto fino a quando tu?

R: Fino all’8 settembre che sono arrivati i tedeschi, doveva arrivare su una montagna di tedeschi ed ho preso l’ordine di sospendere, di scappare.

D: Dove sei andato?

R: A casa mia. Ero da Vittorio nel bosco sono venuto a casa mia.

D: Lì cosa hai fatto?

R: Là a casa siamo stati un po’, poi i tedeschi della Todt hanno chiesto che si andasse a lavorare per loro.

D: Dove erano questi tedeschi della Todt? Qui a Tambre?

R: Sì a Tambre, nei paesi, sì. Si lavorava nel bosco di Cansiglio perché allora si caricavano i tronchi perché dovevano portarli fuori dal palughetto e da lì giù fino a Farra del Pao e da Farra del Pao lo caricava sulle macchine ed andavano giù nel Piave; dovevano fare delle fortificazioni giù dal Piave, i tedeschi.

D: Scusa Vincenzo. Cosa c’era al palughetto per mandare giù i tronchi?

R: La resina. C’è una resina fatta di tronchi e si mettevano i tronchi lì e scivolavano giù. Scivolavano giù fino a Farra perché arrivano giù così.

D: Voi lavoravate per la Todt

R: Sì.

D: Come vi hanno reclutato questi della Todt?

R: O Dio non mi ricordo più, aspetta.

D: Non ti ricordi come ti hanno chiamato? Ti sei presentato tu alla Todt?

R: Orca, aspetta un momento.

D: Se te lo ricordi, altrimenti non ha importanza. Ascolta, lì sotto la Todt eravate in tanti a lavorare.

R: Sì, sì, eravamo tutti partigiani che si lavorava lì. Si caricava i tronchi sulle slitte, allora i becchi lì, perché la neve. Si caricava ed i tedeschi dice “Specialist, guarda che bravi specialist”, si era specialisti a caricare. Fino a che a Natale è venuta tanta neve ed hanno sospeso.

L’11 gennaio hanno preso qui a Tambre, la sera avanti hanno preso qui a Tambre, la sera avanti, noi sapevamo che i tedeschi avevano preso i partigiani da Tambre, si voleva quasi scappare, ma speriamo che non sappiamo niente, invece la sera dell’11 a casa di mio suocero.

D: Scusa, l’11 di che mese?

R: L’11 gennaio del 1945. Giù a casa di mio suocero, eravamo giù a cantare assieme con i tedeschi, si cantava canzoni e buttavano fuori da bere, a mezzanotte ed un quarto abbiamo finito, ognuno andava per i fatti suoi, io sono andato a letto, io e mio fratello, dopo una mezz’oretta, neanche, arrivano su i tedeschi. Allora su dalle scale, la prima porta era mio padre e mia madre che dormiva, sulla seconda ero io e mio fratello.

Sono andati diretti nella mia, perché guarda quanto erano precise le spie, che non sono andati a bussare nella porta di mia madre, sono andati dentro diretti nella mia, nella seconda porta. Lì un capitano tedesco, senza un braccio, con un lupo, è arrivato sopra il letto con il lupo “Porco”, allora ha tirato il lupo, ha buttato giù le coperte, e su. Anche mio fratello però, perché mio fratello aveva su solo le mutande e preso anche lui.

Siamo stati giù alla Villa Semenza e lì era il comando tedesco e lì abbiamo fatto l’interrogatorio e dire quello che abbiamo fatto. Che io ero senza fucile e che sono andato così. E continuavano a darci giù botte. Io dalle botte che mi hanno dato sotto la faccia il collo era così qua.

Fatto l’interrogatorio ci hanno portato in una casa lì sotto. Ed il giorno dietro partenza per Belluno, ed allora a piedi, a piedi fin giù a Farra, a Farra del Pao, e lì c’era un camion, ci hanno caricato sul camion e ci hanno portato a Baldinich in prigione a Belluno.

D: Scusa Vincenzo, quella notte dell’11 gennaio, hanno arrestato solo te e tuo fratello?

R: No, no, tutti. Tutti, tutti.

D: Quanti?

R: Aspetta. Noi, Albino, Narciso, Trisieri, Primo, Emilio, Anselmo, Vincenzo, Lion Giovanni, insomma in nove, in nove eravamo, nove di noi.

D: Tutti sono stati portati lì a Villa Semenza?

R: Sì tutti, interrogatorio a tutti quanti.

D: Scusami Vincenzo, chi ti interrogava? Erano germanici o c’erano anche italiani?

R: Penso siano stati i bolzanini. Parlavano tedesco. Ma sono pochi quelli che sanno parlare italiano. Erano bolzanini senz’altro. Ci sarì stato qualche tedesco assieme e basta.

Finito l’interrogatorio ci hanno portato giù nella casa lì.

D: Ma i tedeschi erano delle SS?

R: E’ facile. Penso di sì.

D: Non te lo ricordi?

R: No.

D: Sei arrivato quindi nelle carceri di Belluno.

R: Sì, sì.

D: Lì vi hanno messo nelle celle singole? Tutti assieme?

R: No, eravamo in tanti. Aravamo in tanti, in cameroni. Poi il 17 gennaio, la mattina del 17 gennaio sono venuti su a prenderci per portarci a Bolzano, lì con i nomi, con l’elenco dei nomi ci hanno dato i nomi.

D: Scusa, se ti chiedo. Sei rimasto nelle carceri di Belluno quanti giorni?

R: Sono rimasto fino al 6 febbraio.

D: Nelle carceri di Belluno?

R: Sì.

D: Nelle carceri di Belluno fino a quando sei rimasto tu?

R: Fino al 6 febbraio, sono rimasti lì, allora ha fatto l’elenco, Costa Vincenzo, mi ha dato una scarpata e mi ha buttato al muro.

Allora le guardie carcerarie hanno detto che i nostri compagni erano a lavorare liberi e se per caso dovessero uccidere un tedesco, sono i primi che portano il piatto ai martiri.

D: Vincenzo scusami, in tutti i giorni che tu sei rimasto lì nelle carceri di Belluno insieme con tuo fratello.

R: No, mio fratello no, un altro.

D: Tuo fratello no.

R: No, mio fratello no, un altro, un paesano.

D: I tuoi genitori hanno potuto venirti a trovare?

R: No, no.

D: Tu hai potuto scrivere? Ti hanno mandato dei pacchi?

R: Non a Belluno, a Bolzano. Sono arrivato a Bolzano.

D: No, no, nelle carceri di Belluno.

R: No, no niente, niente.

D: Dopo il 6 febbraio che cosa è successo?

R: Il 6 febbraio, è arrivato il capitano “Via, via” ci portano sul camion e via per Bolzano, ci hanno portato a Bolzano, e siamo partiti per Bolzano con i camion.

A Bolzano erano partiti tutti i miei paesani, i miei compagni per andare a Mauthausen, ed ho trovato questo Albino, quando lo hanno chiamato per andare a Mauthausen “Tu sei Albino”, e si è salvato.

D: Scusami, che cosa ti ricordi quando sei arrivato nel Lager di Bolzano.

R: Lì ci hanno spogliati, ci hanno tagliato i capelli a zero, proprio a zero, con la macchinetta, con il rasoio. Lì nel blocco D ed il blocco C’erano i due blocchi pericolosi, perché erano tanti blocchi che andavano fuori a lavorare, noi vediamo quei due blocchi ed erano i blocchi dei partigiani pericolosi.

D: Fermati un secondo. Allora Vincenzo, arrivato dentro nel Lager di Bolzano, e lì sono iniziate le pratiche della spogliazione, vi hanno tagliato i capelli, dove vi hanno tagliato i capelli?

R: Fuori nel cortile, nel cortile davanti ai blocchi, al blocco dove poi ci hanno messo dentro.

D: Eravate tutti in fila voi?

R: Sì, sì.

D: Poi vi hanno spogliato?

R: No, non ci hanno spogliato. No, no.

D: I tuoi vestiti li avevi?

R: Sì, sì.

D: Vi hanno dato un numero?

R: Sì, ma non me lo ricordo più 8950, avevo un numero, avevo un triangolo rosso con il numero rosso.

D: Dove lo avevate questo numero e questo triangolo rosso?

R: Qua sulla giacca.

D: Sulla tua giacca?

R: Sì, sì sulla mia giacca.

D: Dopo vi hanno mandato nel blocco.

R: Sì, nel blocco.

D: I due blocchi erano.

R: Il blocco D ed il blocco C, i due blocchi pericolosi, dei partigiani pericolosi. Ci hanno chiusi dentro lì e non ho visto più nessuno, né la luna, né niente. Si aveva un’ora, un’ora al giorno di aria. Come eravamo dentro, impacchettati dentro, fuori eravamo tutti impachettati tutti in piedi dritti perché era il posto appena appena così.

Quando finita l’ora il tedesco, dentro di corsa.

Alla sera una gamella di plastica, fave macinate, una brodaglia, stop. Da 65 chili che pesavo sono venuto a casa 47 chili. In tre mesi, quattro. Si era giovani e forti e sani e allora ci siamo salvati.

D: Scusa Vincenzo, dentro nel blocco cosa c’era? C’erano dei letti come?

R: Sulle brande, sui sacchi di segatura, sulla segatura.

D: Ma erano letti a castello?

R: A castello sì.

D: In quanti dormivate per ogni castello?

R: Cinque o sei.

D: Per fare i vostri bisogni dove andavate?

R: Erano una specie di gabinetti, ma non con l’acqua corrente. Non c’era, fai i tuoi bisogni e spariva tutto. Non carta igienica, sempre il culo sporco avevi.

D: Era all’aperto?

R: Sì.

D: Ascolta Vincenzo, vi facevano mai lavorare?

R: No, mai, c’era qualcuno dei partigiani meno pericolosi, una volta uno ha tentato di scappare lo hanno preso, lo hanno portato dentro, hanno fatto adunata di noi, lo hanno spogliato “Partigiano vedi qua” e pestano su, lo hanno martoriato tutto. “Anche voi partire e scappare fare stessa fine”.

Insomma è arrivato il 6 maggio, prima degli americani sono ancora lì. Ho sempre pensato “Oh qui mi accoppa, oh…”, invece sono ancora lì. Allora a piedi fino a Bolzano, la Val Di Fiemme, Predazzo.

D: Aspetta Vincenzo, scusa. Più o meno in quanti eravate dentro nel blocco, se ti ricordi.

R: Trecento. Quando arrivati, aspetta. Il 23 febbraio, eravamo ai blocchi, il 23 febbraio, arrivati a trecento, i due blocchi pieni, partenza. Ci hanno portato alla stazione a Bolzano e ci hanno caricato sul treno, sui vagoni, tutti impachettati. Poi ci hanno chiusi, 36 ore in vagone, 36 ore in vagone e ne è morto anche uno. Ci hanno portato da Bolzano a Fortezza, non siamo più partiti, allora ci hanno slegato e ci hanno riportato dentro i blocchi. A piedi.

Lì sempre in attesa che sistemino la linea, la ferrovia per tornare e partire, ma non siamo mai partiti perché li hanno sempre bombardati.

D: Vincenzo vi hanno portati nella stazione ferroviaria o in uno scalo merci. Uno scalo o era proprio la stazione?

R: La stazione, la stazione. Sì, sì.

D: Vincenzo scusami, una tua giornata dentro il campo. Ci dicevi che mangiavate poco. Al mattino a che ora la sveglia?

R: Al mattino non c’era sveglia. Lì non c’era sveglia, stare dentro al buio, appena appena si vedeva, non si vedeva neanche nessuno.

D: Vi davano qualche cosa da bere la mattina?

R: Niente, niente. Bere, magari, niente. Alla sera, prima di buio una cosa di plastica di fave macinate, che era una brodaglia, senza sale, perché costa caro. La prima volta che ho mangiato ho detto “Qua il sale?” perché ormai si era abituati al sale.

D: Quindi un pasto al giorno?

R: Un pasto al giorno.

D: Pane?

R: Pane? Una volta una fettina di quello nero. Il pane nero, una volta sola.

D: Chi faceva le pulizie del blocco? Veniva pulito il blocco dentro? Ti ricordi se c’era un capo blocco?

R: No, no.

D: Non avevate dentro il bugliolo? Il mastello per fare i bisogni?

R: No, no, si andava fuori, dietro c’era questo.

D: Uscivate dal blocco una volta al giorno.

R: Un’ora al giorno, stop.

D: Vincenzo tu hai avuto il tempo mentre sei rimasto lì a Bolzano, nel Lager di Bolzano, di vedere se nel Lager c’erano anche delle donne?

R: Tante anche. Tante. C’era il blocco C e D, saranno state una trentina.

D: Non hai potuto parlare con loro?

R: No, no, guai.

D: C’erano dei malati nel vostro blocco? Se ti ricordi.

R: Non mi ricordo.

D: Prima quando ti chiedevo dei pacchi e delle lettere, a Belluno mi dicevi di no. Ma a Bolzano invece?

R: Niente. A Bolzano è arrivato su una volta.

D: Tu non hai potuto neanche scrivere.

R: Niente, niente, guai.

D: Ti ricordi se nel Lager di Bolzano hai visto anche dei religiosi, dei sacerdoti?

R: No, no.

D: Il giorno di Pasqua del 1945 avete celebrato la Messa nel Lager di Bolzano? Non te lo ricordi?

R: No, no, non ho mai fatto Messa lì.

D: Ma è vero che c’erano dei soldi e si poteva comperare le mele o altre cose nel Lager a Bolzano?

R: Gli altri, quelli che non erano pericolosi, non so. Ma noi, niente. Noi siamo sempre stati dentro nei blocchi chiusi, lì sempre lì. Quell’ora al giorno e stop.

D: Siete usciti quella volta che vi hanno messo sui vagoni.

R: Sui vagoni, sì.

D: Cosa era, mattina o pomeriggio quando vi hanno chiamato?

R: La mattina. Da lì, dal nostro campo andare in stazione saranno stati 4 chilometri, non so, non mi ricordo bene.

D: A piedi?

R: A piedi, a piedi.

D: Quando vi hanno chiamato, vi hanno chiamato per numero?

R: Sì, sì.

D: Ci puoi spiegare che cosa è successo quella mattina lì?

R: Quella mattina sono venuti lì “Fuori, fuori”, inquadrati tre per tre, e lì. Arrivati in stazione, pronti, aperte le porte e su, settantacinque per vagone, quattro vagoni, trecento. Chiuso, si credeva di partire subito. Insomma trentasei ore in vagone siamo stati. Si vede che li hanno bombardati, la linea del Brennero e non siamo più partiti. Poi si era sempre in attesa di andare dentro, ma ogni tanto li bombardavano, si è tornato dentro.

D: Vincenzo, ti ricordi qualche nome di qualche SS del campo di Bolzano?

R: Non mi ricordo niente.

D: La Tigre?

R: No, non me li ricordo, nomi tedesco, così. No.

D: Se ti dico questo altro nomi, Tito? Ti ricordi se nel Lager di Bolzano c’erano delle celle?

R: Nell’area?

D: Sì nell’area. C’era un blocco che era come una prigione dentro nel blocco?

R: Qualche volta si sentiva gridare. Ne hanno ammazzati dentro lì.

D: Tu non lo hai visto?

R: No, si sentiva gridare. Una notte si sentiva una donna che gridava, gli sparavano, gli tiravano, li ammazzavano, non so cosa gli facevano. Ma due o tre volte ho sentito gridare così.

D: Questi nomi ti dicono qualche cosa, Miscia e Otto. Ti ricordano qualche cosa?

R: No.

D: C’era un’infermeria nel campo?

R: No, non lo so. Non è stato nessuno in infermeria. Non so.

D: Se ti ricordi c’era un comitato di resistenza all’interno del campo? Hai trovato altri compagni di altre cittì d’Italia, altri partigiani?

R: Sì, eravamo in trecento, non si era mica tutti qua a Belluno.

D: Ti ricordi qualche nome?

R: No.

D: Neanche da dove venivano ti ricordi?

R: Sì, fino dal Piemonte ce ne era lì.

D: Se ti faccio quest’altro nome Luigi Novello, ti ricorda qualche cosa?

R: Sì, Luigi Novello sì, Novello è qui di Belluno.

D: Ti ricordi se nel Lager di Bolzano hai visto dei bambini lì dentro?

R: Ho visto delle donne, ragazze, qualche ragazza, non so come ha fatto ad essere lì, con sua mamma, non lo so.

D: Più piccoli?

R: No, no.

D: L’appello a voi ve lo facevano ogni giorno?

R: No, mai fatto, non potevamo scappare. Un’ora di fuori e dentro. Non potevi scappare, dove andavi? La corrente.

D: L’azione violenta che tu hai visto è stata di quel deportato che è scappato e che hanno preso.

R: Due, erano due.

D: Non ti ricordi i nomi o da dove venivano?

R: No, no. Erano partigiani forse dei meno pericolosi o presi per ostaggio o presi per, non so. Quelli andavano fuori a lavorare e la sera entravano nel campo di concentramento. Uno o due di quelli che hanno tentato di scappare li hanno presi. Non erano solo i tedeschi, erano tutti contro di noi, anche i borghesi erano contro noialtri. Quei porci.

D: Vincenzo ti ricordi quando uscivate un’ora al giorno all’aria, attorno al campo c’era un muro di recinzione?

R: Reticolati.

D: E c’erano anche delle torrette di guardia?

R: Sì.

D: Dicevi che quando era passata l’ora per tornare dentro, il tedesco fischiava.

R: Sì.

D: C’era anche il suono di una sirena?

R: No, solo lui. Perché eravamo impacchettati.

D: La mattina non suonavano una sirena?

R: Niente.

D: Tu hai detto prima che ti hanno dato un numero ed il triangolo rosso. C’erano altri deportati con triangoli di colori diversi?

R: Sì, ma non rossi.

D: Che colori?

R: Gialli, mi pare, stranieri. Comunque rosso eravamo solo noi partigiani pericolosi.

D: Pare ci fossero anche altri colori.

R: Mi pare di sì.

D: Vincenzo, arriviamo a maggio, che cosa è successo i primi giorni di maggio?

R: Lì ormai si sentiva nell’aria che arrivavano gli americani. Allora o ci ammazzano o che. Gli ultimi cinque o sei giorni ci hanno dato da mangiare, qui ci ingrassano come il toro e ci accoppano.

Dopo capitava che gli americani erano alle porte, ancora lì.

D: Ma hanno aperto il cancello?

R: Sì.

D: Prima di uscire vi hanno consegnato un lascia passare?

R: No, no, niente via, via.

D: Tu che cosa hai fatto quando sei uscito dal campo?

R: Siamo partiti a piedi e giù, e giù, senza mangiare, sono arrivato a Predazzo, il contadino mi dice … sono arrivato in … c’era il ben di Dio, i tedeschi andavano in su, i soldi italiani fatti a pezzi per terra per strada, tutti soldi per terra, brutte bestie maledette.

D: Sei arrivato a Tambre a casa quando?

R: Sono arrivato a casa l’8 o il 9 di maggio. Da Ponte delle Alpi con i camion, non c’erano le corriere, siamo andato sul camion.

D: In quanti siete ritornati a casa? In quanti erano con te?

R: Due. Io, Canton. Attilio Facchin, Tona Vittorio, altri che non si conosceva.

D: Vincenzo quando vi hanno fatto uscire dal campo il triangolo ed il numero?

R: L’ho portato a casa io.

D: Ce lo hai ancora?

R: No. Non so più dove l’ho messo, mi taglierei via la testa, volevo lasciare il numero.

D: Dal campo non hai portato a casa nulla tu?

R: Niente.

D: Solo la fame?

R: Solo la fame e le mutande tutte sporche.

D: Ed i pidocchi?

R: Pidocchi, no, eravamo nudi sui capelli. Le pulci, grattarti, che non avevi più nulla da grattarti.

D: Vincenzo, non c’era nessuno quando vi hanno lasciato liberi, la Croce Rossa, un comitato di accoglienza ad aspettarvi?

R: Niente, niente.

D: Tu prima accennavi che il tuo arresto, sono venuti ad arrestarti perché c’è stata una spiata. O no?

R: Sì.

D: Ma questo lo hai saputo dopo pero?

R: Non ho mai saputo la vera spia, però era una spia perché invece di andare nella camera di mia madre e mio padre, è entrato nella mia, spie precise. Indicazioni precise, non uno di Milano, ma uno dei nostri.