Folgarait Riccardo

Riccardo Folgarait

Nato il : 12.11.1999 a: Trento

Intervista del: 29.07.1998 a Milano realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n.92 – durata: 51′

Arresto : a Trento

Carcerazione : carcere in via Brigata Acqui a Trento

Deportazione : Bolzano

Liberazione : a Bolzano

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

D: Allora Riccardo: cominciamo dall’8 settembre del ’43. Piu’ o meno quanti anni avevi in quell’epoca?

R: Adesso facciamo un piccolo calcolo: avevo circa vent’anni o ventuno.

D: Che cosa facevi?

R: Prima? Ero in Finanza.

D: Alla Guardia di Finanza? In ferma?

R: No, no perché ero ancora … Si doveva fare la ferma, non l’avevo ancora terminata. L’8 settembre io sono scappato dalla Jugoslavia, mi hanno preso in Jugoslavia, e dopo con quel sistema lì sono arrivato a Trento. Era obbligatorio, allora, o che si andava a lavorare per la Todt o che si era alla Polizia Trentina.

Un giorno è morta una zia a Rovereto ed io sono andato al funerale però ho preso la corriera per ritornare un’altra volta a Trento. E’ passata in viale Rosmini la colonna della Wermacht la quale era ferma però, ho chiesto un passaggio e son salito sul camion. Quando sono sceso in piazza Venezia qua a Trento mi si presentano due persone e mi chiedono i documenti: era il Commissario della Gestapo col subalterno.

Allora io mostro i documenti e mi dice: “Lei è della classe del ’21, cosa fa?” “Lavoro alla Caproni” Perché lì o si era obbligati o lavorare o andare con loro.

Dice: “Va bene allora venga con noi”. Alla Caproni c’era mio fratello che lavorava, ecco perché mi è venuto in mente la Caproni. Salendo gli scalini di via Brigata Acqui, della Villa della Gestapo, ha telefonato. No, però logico io alla Caproni non lavoravo, allora ha incominciato a prendermi a schiaffi. Quando è arrivato al terzo, era un omone grande, aveva delle manacce, dico: “Guardi mi dica cosa vuole”, perché non mi rendevo conto di cosa volesse.

Rispose: “Lei è un partigiano?” “Mi sogno?” “Va bene”. Ad ogni modo mi ha preso e mi ha portato in carcere qua in via Brigata Acqui, in carcere di Trento. Lì sono rimasto venti giorni.

Era d’inverno, gennaio o febbraio, dopo ci hanno caricati io, il Dr. Pettinella, insomma, diversi che sono venuti a finire in campo con noi e ci hanno portato al campo di concentramento di Bolzano.

D: Aspetta: Quando eri qui nel carcere di Trento hai potuto comunicare con i tuoi, la tua famiglia? Sapevano niente?

R: Mi sembra che mi abbiano lasciato fare una telefonata; mi sembra. Non mi ricordo con precisione ad ogni modo.

D: Ti hanno dato un numero di matricola? D’iscrizione?

R:. Sì, 8084. Al campo.

D: No ancora a Trento, là in carcere.

R: No, no. Ero dentro con la gente comune insomma.

D: Ecco. Sempre qui a Trento: dopo quei primi schiaffoni ti hanno fatto degli altri interrogatori?

R: No, sono andati a farmi una perquisizione a casa, ma non hanno trovato niente, però per loro ero un partigiano.

D: Quindi sei stato arrestato con la denuncia di essere partigiano?

R:. Sì, sì appunto una cosa del genere.

D: Ma interrogatori non te li hanno più fatti?

R: No, no, no. Mi sembra di no.

D: Processo non te l’hanno fatto?

R: No, no, no.

D: Ti hanno messo in carcere e basta.

R: Bravo!

D: Ma anche dentro in cella o in isolamento?

R: In cella. Eravamo una ventina di persone, una ventina, quelle che ci stavano insomma.

D: Giovani o anche persone più anziane di te?

R: Ma no, più o meno, sì, sì più anziane logicamente perché il Dr. Pettinella, Pettinella si chiamava era il direttore della ZOI e dopo, beh adesso non mi vengono in mente i nomi.

D: Anche donne o solo uomini?

R: No, no tutti maschi.

D: Sacerdoti magari preti? Qua in carcere come prigionieri c’erano dei preti?

R: No io non l’ho conosciuto, ma c’era un certo, di Casteltesino un certo… che poi l’ho conosciuto lassù al campo però io non l’ho visto. Eravamo dentro oltre mille persone al campo: mica una persona sola. Insomma mi hanno portato là.

D: Con cosa ti hanno portato?

R: Con il camion, il camion legati uno all’altro, con le manette uno con l’altro. Ero legato a Pettinella mi sembra. Era freddo perché era sottozero, forse. Ci hanno portato al campo, all’ingresso, ci hanno lasciato dalla mattina fino alle due, le tre del pomeriggio sempre in piedi, non si poteva, legati al muro, all’ingresso del campo, proprio. Dopo ci hanno portato dentro, mi hanno assegnato la mia branda. La branda era un lettino a castello per due persone e tutto lì. Mi hanno dato la matricola 8084 e lì e incominciato l’odissea…

D: Ti hanno spogliato?

R: Ma no, non mi hanno spogliato, ma a tanti non hanno dato una divisa da carcerato, lì non l’aveva quasi nessuno. Nessuno direi anzi.

D: Quindi avevi i tuoi abiti civili?

R: Sì, sì, abiti civili.

D: E hai cucito sugli abiti civili il tuo numero di matricola?

R: No non l’avevo sull’abito: Io ho ancora il triangolo. Insomma il triangolo rosso vuol dire politico, ma io di politica francamente non mi sono mai interessato. Ecco come dicevo prima: l’adunata di mattina alle cinque, freddo o non freddo, oh Madonna! Ci si può immaginare, ci distribuivano ‘sta broda d’acqua calda poi si rientrava in blocco.

Alle volte, a me è successo una o due volte, c’era una catasta di legna, di assi, 4 metri di lunghezza, in cima al campo e si doveva portare in fondo in due persone. Quando era accatastata si doveva riprendere e riportare un’altra volta verso…. fino a che veniva la sera.

Quando si rientrava al campo ho conosciuto il dr. Pasqualini di Casteltesino, che era l’interprete del campo, faceva l’interprete e tramite lui mi ha mandato in lavanderia. Allora sono andato in lavanderia e lì ho conosciuto il Conte Wolfgang Stein di Casteldublino, il quale aveva sempre il raffreddore. Allora mi dava i fazzoletti ed erano persone abbastanza importanti perché uno era l’interprete e l’altro aveva mansioni nel campo abbastanza elevate insomma un po’ su, no, io parlo di mille persone. Allora io gli preparavo sempre i fazzoletti lavati e stirati per la sera e mi ha preso in simpatia: ecco perché dicevo prima che per me non è stato così pesante come per altri.

Ah, premetto questo: prima di andare in lavanderia allora ci distribuivano una pagnotta al giorno e io avevo fame, avevo vent’anni o ventidue, e allora io sono andato volontario a scavare le bombe sul Virgolo, più o meno dove cadevano la notte perché c’era il Pippo, il famoso Pippo, che veniva sempre alla notte, dopo vi racconto un altro particolare del campo sempre. Si andava a scavare queste bombe, cioè si individuava dov’era la profondità, dopo subentrava l’artificiere che le disinnescava e si rientrava al campo, soltanto che, con la pagnotta di supplemento, vent’anni che avevo, e lavorando la fame aumentava, insomma io avevo sempre fame, la notte mi sognavo piramidi di panini.

D: A mezzogiorno non vi davano da mangiare?

R: Ah, la sera la minestra, alle cinque mi pare o alle quattro quando che l’era.

D: Basta?

R: A mezzogiorno mi davano la famosa pagnotta di supplemento che l’avevo già mangiata praticamente.

D: A piombo, a piombo però?

R: A piombo sì, sì. Ah beh, che cosa pretendeva che fosse un panino? No beh è tutto lì. E dopo allora tornando, ho conosciuto ‘sto Conte Wolfgang Stein, gli lavavo i fazzoletti tramite… insomma aveva preso una buona cosa, allora avevo dopo conosciuto l’amante del comandante, una certa Renata mi sembra, beh adesso mi sfugge un po’ il nome.

D: Il comandante si chiamava?

R: Ah non me lo ricordo no… Allora avevo accesso al comando. Se aveva bisogno mi mandava a chiamare allora andavo a fare il the, andavo nelle loro cucine e ogni volta si presentava l’occasione logicamente no, no, io grattavo qualcosa, eh insomma fame, fame.

Posso raccontare un particolare? Allora un giorno è venuto un ufficiale della Wermacht o chi per essa delle SS e dovevo offrirgli il the, allora mi manda a chiamare e mi dice: “Va a farmi il the”. No ma è un paradosso, eh! Allora lì vicino a me quando sono andato in cucina per preparare ‘sto the hanno aperto, il cuoco era un ebreo, ha aperto una scatola di sgombri, e dopo si è girato no… io girarmi prendere gli sgombri, infilarli nella teiera e correre in blocco. Mi sembrava di essere Babbo Natale quando entravo la sera io e rovesciare questi sgombri nella ciotola e rientrare lì, e lava, lava, lava. Però l’odore dello sgombro, eh la Madonna!

Continuavo ad indugiare però praticamente non arrivavo alla fine finché è arrivata ‘sta Renata: “Riccardo cosa fai?” “Ma Renata!” E ho raccontata la storia che ho raccontato adesso.

Beh ma questa era italiana, era di giù, di Bassano, da quelle parti lì, “Disgraziato! E cosa fai?” “Insomma Renata” dico, “cosa vuoi che ti dica, io ormai l’ho fatto!” Dico: “Se faccio il the saprà di sgombro, eh eh!” Non mi ricordo la fine dopo, non me la ricordo proprio. So che mi ha salvato insomma. Eh sì, perché sennò lì era tremendo.

Ora tornando a bomba al Pippo, un giorno ha bombardato il campo, è caduta una bomba all’esterno del muro e ha fatto un bel buco. Lì si stava per infilarsi per scappare no, che dopo però invece gli altri dalle torrette si sono accorti e logicamente non è successo niente: siamo rientrati. Poi la vita normale era quella insomma che Le dicevo prima: io andavo in lavanderia, lavavo la roba, rientravo in blocco. Avevo tentato anche di scappare. Un bel particolare questo: allora la lavanderia era fatta a due piani: sopra c’erano delle assi lunghe quattro metri; la distanza dalla lavanderia al muro di cinta, però era quasi sotto la torretta della guardia, che era 3 metri o 2 metri e mezzo. Allora ho svitato un’asse, l’ho preparata con una gru che ho racimolato da qualche parte, l’ho messa a posto. Dico: “La sera invece di rientrare in blocco io mi nascondo qua” e avevo intenzione di tentare la fuga insomma. Aprivo le finestre prendevo l’asse senza far rumore, con la carrucola con uno spago che andava su perché se no come si fa a buttare fuori un asse. L’appoggiavo sul muro e allora andava; però c’era il rischio che c’era sempre la guardia.

Insomma mi è andata buca. Dopo non lo l’ho fatto sennò io dal campo sarei scappato…Ah! Che mi ha trattenuto è stato questo: perché era fuggita altra gente, avevano tentato la fuga però cosa facevano: venivano a casa, sono andati a casa di ‘sta gente e prelevavano i genitori. Ecco cosa che mi ha trattenuto di tentare la fuga. Dopo tutto sommato….

D: Riccardo, allora il tuo numero di Bolzano era ottomila…

R: 8084

D: E il blocco qual era?

R: L’A, blocco A.

D: Ti ricordi il capoblocco come si chiamava?

R: Era uno di Milano… non me lo ricordo no. C’era dentro il sindaco di Milano ma non mi ricordo il nome. Me lo ricordavo fino a ieri ma oggi…

D: Virginio Ferrari

R: Ah Madonna, Ferrari, giusto. Brava!

D: E questo nome ti dice qualcosa : Luigi Novello. Gigi Novello?

R: No.

D: La Cicci.

R: No.

D: Cicci è una donna piccolina, bionda.

R: No.

D: Quest’altro nome. La Tigre?

R: La Tigre certo che me lo ricordo: era… anzi, Le porto un altro particolare: i mastini del campo che noi chiamavamo i Mastini erano due ucraini…

D: Come si chiamavano?

R: Ah beh, come si chiamavano non so, mi auguravo di non aver contatto con loro perché di notte si sentivano le grida dal blocco… beh il blocco non mi ricordo il nome…

D: Blocco Celle forse?

R: Dove c’erano le celle insomma . La notte con quel freddo che faceva, prendevano i mastelli d’acqua, li rovesciavano addosso a queste povere persone e insomma sono morti di polmonite e botte, botte che ce ne erano…roba… si sentiva. Il blocco A era vicino e si sentivano le grida. Pazzi erano, pazzi, pazzi.

D: Ed erano due ucraini?

R: Due ucraini erano.

D: Questi nomi ti dicono qualcosa? Otto.

R: Può darsi, sì.

D: E Misha?

R: Può darsi. Otto, Otto, può darsi, sì, però non me lo ricorderei, a metterli a fuoco proprio bene, non me lo ricordo.

D: Erano giovani?

R: Sì avranno avuto trent’anni non di più, forse anche di meno ma proprio io non ho mai avuto a che fare con loro. Aspetta c’è un altro particolare. Credo… quello degli sgombri l’ho raccontato. Io alla sera quando rientravo perché andando giù dove…..

D: Al Virgolo?

R: No … lì no, prendevo solo la pagnotta, ma dopo che sono andato in lavanderia e che avevo libero accesso, libero accesso quando mi chiamava per fare il the, quelle cose lì, c’era sempre qualcosa da grattare e allora mettevo nella giacca, qua, là, quando entravo in blocco vedevo la gente così attorno e distribuivo quello che ero riuscito a racimolare. Mi sembrava di essere Babbo Natale.

D: Lo dividevi con gli altri?

R: E beh, logico no? Io praticamente, come per il mangiare dopo che sono andato in lavanderia e compagnia, o il panino nella sua cucina o questa Renata me lo rifilava lei, mi dava qualcosa. Insomma, tutto sommato non ho patito la fame.

D: Riccardo, in lavanderia, ti ricordi il nome di uno che lavorava in lavanderia?

R: Eh no, no.

D: Spreafico. Ti dice qualcosa questo nome?

R: No.

D: Edgardo Spreafico?

R: No, guarda no…

D: Eravate in tanti in questa lavanderia?

R: No, eravamo cinque persone, neanche,forse quattro, però anche quello mi è difficile metterlo a fuoco, ma non eravamo tanti no, ma si lavava la loro roba di questo Conte Wolfgang Stein di Pasqualini, poi non so…

D: Ascolta: prima parlavi di un sacerdote.

R: Quello non me lo ricordo. Si chiama…

D: Don Narciso Sordo.

R: E’ di Casteltesino ad ogni modo, mi sembra.

D: Don Narciso Sordo.

R: Sordo, bravo, sì Sordo certo, certo… dopo là ho conosciuto, amnesia…c’era un ‘altro di Casteltesino dentro con me…

D: Don Guzzato.

R: Brava, certo.

D: E quest’altro sacerdote: Don Girardi, l’hai mai sentito?

R: No.

D. E Don Daniele Longhi?

R: Neanche.

D: Mai sentito?

R: No.

D: Vicino al blocco A c’era anche il blocco delle donne?

R: Era il blocco E ma era di sotto: fra il blocco A e blocco C che era dei pericolosi, poi veniva il blocco E.

D: E ce n’erano tante di donne?

R: Eh beh era pieno… non so dirle con precisione adesso ma per essercene centocinquanta persone era come ridere.

D: Ascolta: quando tu uscivi dal campo per andare al Virgolo in quanti uscivate?

R: In cinque o sei persone.

D: E vi portavano al Virgolo come?

R: A piedi sono andato più di una volta ma non fino al Virgolo, sono andato per altri parti, però al Virgolo ci portavano col camion mi sembra, mi sembra non sono troppo sicuro però.

D: Quindi andavate da altre parti a prendere le bombe?

R: Oh la Madonna! Ne hanno buttato di bombe lì a Bolzano sì, sì tante per quello! Un particolare per dare un esempio. Quando eravamo in cella a Trento, quei venti giorni, hanno bombardato la ferrovia di Trento e abbiamo recuperato una bomba che sarebbe stata di 2 quintali. Enorme, proprio sul ponte, sul cavalcavia. Abbiamo attaccato uno spago e mi ricordo sempre il fuggi-fuggi della gente perché noi la tiravamo lungo…per filo del marciapiede ecco ‘sta bomba l’abbiamo tirata fino in fondo. Poi lì l’hanno caricata non mi ricordo più.

D: Ascolta quando tu sei rimasto dentro nel campo, quando eri dentro nel campo, hai visto atti di violenza?

R: No, per sentito dire sì ma che li abbia visti di persona no però. Allora c’è stato uno che ha tentato la fuga: un bell’uomo grande e dopo l’hanno preso. E’ stato tutto il giorno lungo quella famosa parete, il muro dove ho detto che sono stato anch’io fino alle due, tre, in piedi, se si accasciava doveva rialzarsi e dopo uno gli ha rotto la testa con un mastello, un secchio ma di legno, loro lo chiamano mastello, gliel’ha spaccato sulla testa e l’ha ucciso insomma. E’ morto. Me lo hanno detto. Io non l’ho visto però è stato ucciso con questo mastello.

D: Voi quando eravate nel campo, potevate scrivere a casa?

R: No.

D: E potevate ricevere…

R: Si! Si poteva ricevere i pacchi, però i pacchi prima passavano da lassù! Allora prima portavano via tutto quello che interessava loro. E dopo ecco perché alle volte io avevo della roba da portare in blocco, perché ‘sta Renata mi metteva da parte qualcosa e allora…..

D: Ti ricordi se nel campo c’era anche un’infermeria?

R: Certo che c’era un’infermeria! Aspetti un attimo. Era di fronte proprio al blocco A, al centro del campo. C’era l’infermeria.

D: Tu non sei mai andato in infermeria?

R: Sì me la ricordo molto bene però che io ci sia mai andato per qualcosa di personale non penso.

D: Non ti sei mai ammalato?

R: Ah … no… no…no….

D: Per fortuna no.

R: Per fortuna no, perchè lì non c’era da curarsi eh…!

D: La Ada Buffolini te la ricordi?

R:No guarda… cinquant’anni fa…. Non è mica facile!

D: Laura Conti?

R: No, ma delle donne io conoscevo ‘sta Ginevra che abita qua ma non è che si avesse libero accesso, a piacimento suo, so che sono entrato una volta o due per tutto il periodo di otto mesi, sei mesi che sono stato dentro io…

D: Nel campo?

R: Sì.

D: No. Da febbraio a maggio.

R: A maggio sì, perché il campo l’hanno vuotato caricandoci su dei camion allora a venti, trenta persone. A me mi hanno portato a Salorno per darvi un esempio, venti o trenta persone le portavano a Merano, altri… siamo stati sparpagliati per tutta la zona di Bolzano insomma, ecco. Perché se no, l’intenzione era di fare una rivolta. Volevamo, e sì perché eravamo in tanti, però loro sono stati più furbi di noi, e hanno vuotato il campo insomma in quel modo lì.

D: Ecco, ma questo quando è avvenuto?

R: Eh…cosa è stato lì, quando? Alla fine della guerra insomma.

D: Alla fine di aprile.

R: Di aprile, più o meno sì.

D: E questi camion erano guidati da chi?

R: Da tedeschi, da loro.

D: Ti hanno anche rilasciato il certificato…

R: Sì. Ce l’ho a casa. Eh Madonna, gli ho fatto un quadro. Eh eh, eh.

D: Ascolta….

R: Vuole che….. Me lo ricordo ancora, che c’è su :”Il presente documento deve avere l’attenzione di tutte le autorità…” Una roba del genere.

D: E da chi è firmato quel documento lì?

R: Eh…. Ce l’ho io a casa ma non …..

D: Dal comandante del campo era firmato?

R: Mah, gli direi una fesseria. Non lo so. So che è firmato, ad ogni modo. C’ho il mio triangolo rosso.

D: Ascolta… Con te altre venti, trenta persone le hanno fatte salire….

R: Sul camion, e ci hanno portato fino a Salorno. Io da Salorno a Trento sono venuto a piedi.

D: E poi cosa vi hanno detto: “Via, siete liberi?”

R: Sì, “Giù, giù, giù, giù” .Ci hanno buttato giù dal camion, insomma. Dopo tutto il periodo che si era dentro non servivano tanti “Giù, giù”, no. Io sono venuto fino a Trento a piedi.

D: Questo nome ti dice qualcosa: Edgardo Sogno? Non ti dice niente questo nome? E Gervasio Massetti?

R: No.

D: O Milanesi Carlo?

R: Ma ce ne erano tanti di milanesi perché c’era chi veniva da Fossoli, chi veniva di qua, di là…No io non me lo ricordo questo nome qua, no…

D: Ma ce n’erano di ebrei nel blocco A?

R: Non penso no…almeno …non mi ricordo! Nel blocco A eravamo sempre dentro un centinaio di persone e conoscerle tutte non era… almeno a distanza di tempo perché se Lei mi dicesse Marietto per esempio, mi è venuto in mente perché me l’ha detto Lei adesso benché ci troviamo ogni tanto però sono passai cinquant’anni, mica ieri no?

D: Ascolta: cosa è successo, se ti ricordi, nel giorno di Pasqua del ’45?

R: Ma non mi ricordo neanche che era Pasqua io.

D: Era il 15 aprile del ’45.

R: Può darsi: non mi ricordo niente io.

D: La Messa. Una Messa.

R: Ah non me ricordo io.

D: Non ti ricordi una Messa fatta nella piazza dell’appello del campo?

R: No, no, non me lo ricordo più.

D. Non te lo ricordi…

R: No…no non me le ricordo

D: Ascolta un’altra cosa: Il campo…

R: Sì è rettangolare…

D: E c’era la recinzione in muro…

R: Sì. Il muro intorno, intorno si.

D: Sopra il muro c’erano dei reticolati?

R: Reticolati. Almeno aspetti che penso… mi sembra di sì….No perché se c’erano dei reticolati come facevo io a passarlo?… No allora non c’era il reticolato.

D: E c’erano però le torrette?

R: Le torrette… ce n’erano una, due, saranno state quattro come minimo. Bene. Due me le ricordo.

D: E di che cosa erano fatte? Di muro?

R: No, no, di legno. Di legno.

D: Vicino al campo, fuori però dalla recinzione del campo…

R: Era campagna…

D: E c’erano anche delle officine?

R: Ah, no ma questo non lo so. So che dalla lavanderia, dove volevo scappare io, era campagna. Dopo se c’erano delle officine non lo so.

D: Ma non c’erano deportati che andavano a lavorare?

R: Ah, uscivano dal campo tanti alla mattina quando facevano l’appello che loro non chiamavano, il numero diceva: si usciva in diversi. Un particolare: quando che c’era il trasferimento a Mauthausen, a Buchenwald ogni quindici o venti giorni che li portavano sul treno. Allora in infermeria avevano procurato delle seghe perché volevano scappare. Tagliavano le assi del vagone, si calavano giù, almeno probabilmente quando si fermava perché quando andava penso di no, e dopo si sono accorti però. Però è successo diverse volte che insomma sono scappati.

D: Ascolta. Quando tu uscivi per andare a disseppellire le bombe, che uscivate a piedi dal campo…

R: Ma una volta o due siamo usciti a piedi perché era vicino perché sennò se si andava al Virgolo, eh no, ci caricavano sul camion.

D: Quando uscivate a piedi, vedevi la gente di Bolzano? Le persone?

R: Eh ma non si passava mica nella città. Io sono sempre andato in periferia più o meno. E avrò ben visto qualcuno ma non me lo ricordo questo. Anche su al Virgolo quella volta che siamo andati in campagna, avrò ben visto qualche contadino non mi ricordo questo però…

D: Ecco a proposito del Virgolo: tu prima ci raccontavi un particolare…

R: Quello lì della bomba? E quello lì. Allora ci hanno prelevato, eravamo in cinque, sei, come al solito, per andare a scavare le bombe e ci hanno portato in aperta campagna. Lì mi hanno fatto scavare una fossa, però generalmente le bombe andavano giù un metro, si trovavano subito insomma, quella volta lì siamo andati in profondo, siamo andati giù un metro e mezzo o anche due forse e allora faccio a quello che ho vicino, non mi chieda il nome perché non me lo ricordo, dico: “Guarda che qua ci fanno la festa! Qua ci fanno scavare la fossa e dopo col mitra ci ammazzano e ci buttano dentro!” Risponde: “Lo penso anch’io perché qua bombe non ce n’è”. E non c’era neanche il segno di sopra però. Si vede che scendendo io, era più sabbioso, l’avrò coperto. Allora io gli dico: “Ascolta! La pala… io riempio la pala di terra la butto addosso, tu salta addosso a quell’altro perché qua, se morire bisogna morire! Se va bene…” Mentre proponevo questa cosa qua lui con la vanga, con la pala lui ha trovato una roba dura, c’era la bomba! Se però non sentiva in quell’attimo lì il duro del coso, succedeva quel che succedeva.

Con ogni probabilità io non ero qui a raccontare perché loro erano armati. Fisicamente cosa si può fare contro! Ad ogni modo è andata bene: abbiamo trovato la bomba, bella grossa, è subentrato l’artificiere, l’ha disinnescata e morta lì; poi ci hanno portato in campo.

D: Ma l’artificiere era un prigioniero come voi o?

R: No, era uno di loro, sì… sì.

D: Vedo che facevate il lavoro proprio di vanga oppure?

R: Noi dovevamo dissotterrarla, cioè liberarla dalla terra, poi subentrava lui che sapeva come fare, svitava, la disinnescava insomma.

D: Quindi durante il tuo periodo… finisci…

R: Ah no, penso che era un tedesco…. Era un tedesco perché non era uno del campo insomma.

D: Durante il tuo periodo che sei rimasto lì al campo a Bolzano tu sei stato impegnato prima nel raccogliere le bombe e poi in lavanderia?

R: E dopo in lavanderia si, e dopo ho conosciuto ‘sto Conte:il Conte Wolfgang Stein era una brava persona.

D: E perché era stato preso questo?

R: Ma sempre anche lui per motivi, si presume, politici. Si presume non so se… Invece il Pasqualini era l’interprete, cioè fra tedesco e italiano.

D: Ecco: che tu ricordi nel campo c’era uno spaccio dove voi potevate andare a comperare …

R: Macchè! No… non c’era. Lo spaccio! A parte tutto che di soldi non ce n’era ma ad ogni modo no, non c’era.

D: Non avevi mai visto quei soldi da 1 lira, da 2 lire, da 5 lire del campo?

R: Io no.

D: Mai visti?

R: No, no, non li ho mai visti io.

D: E se tu ti ricordi: c’era qualcuno che entrava con un camion a vendere le mele?

R: Oh mai visti. Ma sì anche quello è una novità!

D: No, mai visto. Mai visto. Questi nomi ti dicono qualcosa: Titho e Haage?

R: Vede fino a….

D: Colonia?

R: Eh.

D: Colonia?

R: No, è che mi ricordo molto bene il nome della Tigre quello sì… dei due ucraini sì ma degli altri…

D: Ma perché l’avete chiamata Tigre?

R: Oh … seviziava le donne in numero tremendo! Almeno come raccontavano loro. Era cattiva insomma perché per dare le botte era come ridere insomma.

D: Basta che menava, dava botte….

R: Ah, la menava a tutto spiano. Insomma se l’hanno soprannominata Tigre, io non ho mai avuto a che fare, però c’è un perché! I due ucraini quelli me li ricordo perché erano vicini al blocco A, però erano piccoletti, tarchiati. So che menavano a tutto spiano quelli… Lì c’era gente che aveva commesso delle infrazioni nei riguardi di loro, non so, magari risposto male,o qualcosa avranno fatto. Ah lì non c’era mica da sgarrare tanto così! Li portavano lì e lì avevano fatto anche i forni crematori se non erro: stavano costruendoli insomma. Non sono mai entrati in funzione, però stavano costruendoli.

D: Ascolta: la liberazione, da Salorn cioè prima di essere caricato sul camion, chi è che vi ha detto a Voi che eravate liberi nel campo?

R: Hanno fatto l’adunata alla mattina fuori nel coro allora hanno chiamato i numeri: tot..tot..tot.. Logicamente su Radio Campo noi sapevamo che ci portavano.. No, noi si presumeva… Le ho detto che si voleva fare una rivolta perché praticamente c’era il fuggi-fuggi generale dell’esercito che andava fuori e dico qua…Loro temevano una rivolta ma noi volevamo farla anche! Eravamo…insomma tutti si era d’accordo su questo!

Soltanto che le ho detto, ci hanno preceduto, sono stati più furbi di noi! Noi la nostra furbizia poteva raggiungere fino ad certo punto! Allora ci hanno chiamato: 8084…eravamo una ventina, trenta, ci hanno caricato sul camion e portato a Salurno. Il giorno prima, perché non è che l’hanno vuotato tutto in un giorno, il giorno prima li avevano portato a Merano, di qua, di là insomma….

D: Ecco un’altra cosa: quando tu sei rimasto dentro nel campo hai visto se c’erano anche nel campo dei bambini per caso?

R: No… mi sembra di no…

D: Bambini non ne hai visti?

R: No, mi sembra proprio di no.

D: Poi, allora: sei sceso dal camion a Salorno e sei arrivato a Trento?

R: A piedi.

D: Da solo?

R: Ah per le campagne perché avevo paura ad andare sulle strade: era tutto pieno di militari che scappavano! Eh per la malora! No, no, sono andato per le campagne, ho seguito l’argine dell’Adige e giù, giù, giù fino che sono arrivato a Pie’ di Castello!

D: E quando sei arrivato a casa?

R: Eh… tremendo!

D: Cioè?

R: Mah. Come fare a dirglielo!

D: Magone! Mamma c’era però….

R: La mamma, anche il papà, può immaginarsi…guarda sorvoliamo lì.

D: Quanto ti è pesata dopo, questa esperienza, nella tua vita?

R: Che quando ne parlo mi viene il magone eh eh! No, no, non è che abbia dato eccessivo peso ma forse ero un po’ superficiale ..non so io…insomma non l’ho presa dal lato effettivamente reale, l’ho presa un po’ sportivamente…

D: Non ti sei più sognato le piramidi di pane?

R: No, quando sono arrivato a casa m’ha fatto una polenta che non finiva più! Anche loro non è che nuotassero nell’abbondanza ad ogni modo, quella polenta, io non ne avevo mangiata di così buona…

D: E hai ritrovato ancora tutti i tuoi amici?

R: Sì.

D: E ti hanno chiesto di questa esperienza?

R: Mi hanno chiesto sì. Ad ogni modo gliel’ho raccontata con più particolari. Allora me la ricordavo come se l’avessi vissuta adesso, dopo si è attenuata nel tempo.

D: Ecco Riccardo: poi ti sei sposato e hai fatto una famiglia.

R: Certo.

D: Ai tuoi figli hai raccontato queste tue storie?

R: Sì, gliel’ho raccontate. Io ho anche una nipote e ho fatto fare un memoriale richiestomi da un padre cappuccino qua a Trento, che adesso è priore a Cavalese, e lui mi ha detto che vuole farmi un’intervista e che racconti tutta la mia storia perché voleva scrivere un libro. Continuavo a menare il can per l’aia perché mi scocciava, ma un giorno: “Beh,” dico, “lo faccio io il memoriale!” Ero su ad Andalo e ho ‘sta nipote che fa l’università ed il discorso che abbiamo fatto adesso, l’ho fatto a lei nei minimi particolari perché oltre allo sgombro c’è le uova… Allora avevano cotto delle uova soltanto che, anche lì, si girava apposta o no, il cuoco era un ebreo, si girava apposta, faceva finta di non vedere! Fatto sta che io le ho prese e le ho messe in un sacchetto di carta. Soltanto che prendendo il sacchetto mi sono cadute a terra perché erano appena cotte, mi ha rincorso con un coltellaccio così! Sì beh però poverino era anche buono perché io ne ho combinate tante ma poi tante dentro quella cucina lì!

D: Gli sgombri al the!

R: Guarda che l’odore dello sgombro non viene mica via eh!

D: E quindi a tua nipote le hai raccontato tutte queste storie?

R: Tutte queste cose qua: ha fatto un memoriale e dopo l’ho consegnato a ‘sto padre che adesso è priore su a Cavalese però.

D: E non ti ricordi come si chiama?

R: Sì, ma lui non ha niente a che fare con il campo.

D: Sì, no, ma come si chiama questo? L’ha scritto poi il libro, l’ha pubblicato il libro?

R: Non lo so. Io non l’ho più visto.

D: Ecco ai tuoi figli comunque hai raccontato questo?

R: Certo che gliel’ho raccontato!

D: Secondo te è importante che i giovani adesso conoscano questa storia?

R: Sì. Se fossero stati presenti sarebbe stato molto più efficace che averglielo raccontato così perché… Ad ogni modo, logico che sono rimasti impressionati anche loro, insomma però io lo raccontavo come un’avventura, non seriamente, quello che ho subito! Perciò l’efficacia delle parole ha un altro valore! Insomma un tipo così insomma non è che….

D: Riccardo: i giovani di oggi, è importante che conoscano a scuola?

R: E’ importantissimo!! Non importante! Importantissimo se danno il peso giusto a quello che è successo. Perché io per darle un esempio sono andato a Mauthausen, sì qua a Monaco …

D: Linz, Mauthausen è a Linz. Monaco è Dachau.

R: Ah, Dachau giusto… Allora sono andato all’Oktober Fest e fra le cose che insistevo, eravamo in cinque, sei amici, dico: “Andiamo a vedere il campo” e nessuno voleva indicarci dov’era! Beh, uno che ha vissuto dentro nel campo e che ha visto quelle cose lì, allora l’impressione che io ho avuto è stata molto superiore di Pinco Pallino che avevo vicino! Perché vedere le porte contorte, quei ganci, quelle cose lì! No io non ho pianto però…

D: Ascolta: quindi i giovani a scuola devono…

R: Certo! Se la interpretano seriamente, non come l’ho raccontata ai miei figli, ha un valore molto efficace.

D: E’ importante!

R: Eh sì.

D: Riccardo, vi siete più visti dopo la guerra o con il conte Wolfgang Stein o altri che erano dentro nel campo, avete mantenuto dei rapporti?

R: Sì, ma ‘sta Ginevra la vedo frequentemente perché passa di lì, andiamo a prendere il caffè, e con la signora Gianna per darle un esempio, sono andato ad un pranzo, io lei e suo marito, mia figlia. Dopo ne conosco un altro però, eh non mi viene in mente il nome, però ne conosco un altro io che abita più o meno dalle Ghiaie, da quelle parti lì. Moranduzzoli no… Meneghini quello di Casteltesino lì.

D: Ma sì, eh… Adesso mi sfugge…

R: Con quello anche! Insomma quando è Natale…

D: Marietto, Marietto!

R: Marietto! Quando è Natale gli faccio gli auguri!

D: Con questa Ginevra eravate, vi siete visti anche dentro nel campo o vi siete conosciuti dopo?

R: Ma no, io l’ho conosciuta al campo perché lei era al blocco E. Quella volta che sono andato dentro probabilmente… adesso i particolari non me li ricordo… e dopo è venuta lei a cercarmi a Trento. Non mi ricordavo neanche più, so che un giorno si è presentata, mi ha detto: “Guarda Riccardo io sono la Ginevra!” E allora ho messo a fuoco, dico: “Dio buono! Ciao!” Baci e abbracci! Quando passa di qua che ha occasione di passare, ah ecco! Con la Gianna è venuta anche lei al pranzo. Quando passa ben volentieri, io vado a bere il caffè.

D: Riccardo cosa è stato il campo per te? Il Lager per te?

R: E’ stata una brutta esperienza, però mi è servita nella vita che praticamente so decidere il bene dal male, so il dolore e la gioia. Ieri ridevo con la signorina: però là non ridevo.

D: Oltre alla violenza all’interno del campo, atti di amicizia, di solidarietà come tu quando entravi in baracca alla sera, che distribuivi….

R: Insomma guardi, ero per loro Babbo Natale quando entravo e dopo, amicizia vera e propria dopo no, beh sì ce n’era, perché eravamo tutti amici però non è che….

D: Anche altri, anche altri deportati dividevano le cose che avevano con gli altri?

R: Non avevamo niente da dividere perché non c’era niente!

D: Non c’era niente!

R: No. Io solo ho avuto la fortuna di avere qualche panino in più, qualche pezzo di salame in più, sgombri in più! Eh ..Eh..

D: Uova per terra…

R: Uova per terra! Adesso non mi viene in mente…no quando io andavo in cucina ero una favola per tutti! Da magro perché adesso sono un po’ robusto, ma allora ero così,da magro diventavo così. Andava roba dappertutto!

Accidenti! Roba da tutte le parti….

D: Ascolta: tra i guardiani del campo, chiamiamoli le guardie insomma, c’erano i tedeschi o c’erano anche italiani?

R: No, c’erano solo tedeschi.

D: Non c’erano quelli con il medaglione qui con scritto SOD?

R: No, erano tutte SS.

D: O del corpo di….

R: Per conto mio erano tutte SS ma il medaglione e divisa sì ma non che… E l’appello lo facevano tutti i giorni sia la mattina che la sera.

D: Due volte al giorno ?

R: Mi sembra di sì.

D: Anche con la pioggia?

R: Ah non c’era pioggia lì! Anche se c’era la pioggia, la neve, lei doveva andare fuori e quello che aveva, aveva! Quei quattro stracci che aveva addosso! Non c’era altro. Perché lei mi ha accennato… non c’erano divise. Perciò io avevo quello che mi hanno preso, lo avevo ancora lì quando sono scappato. Ah, ci mandavano… mi sembra adesso un particolare, a fare la doccia ! “Schnell!” Loro dicevano: “Schnell!” Arrivava dentro, andava sotto, freddo al gelo, era già fuori…

D: Neanche il tempo di bagnarti?

R: No. Anzi l’unica cosa che si faceva dopo quello del gas, Radio Campo, la prima cosa che faceva, si guardava che veniva fuori l’acqua! E insomma….

D: Comunque se tutto ti ha portato il magone come dicevi prima, però quando sei tornato a casa, lì è stata forte eh!

R: E’ stata fortissima!! Dovrei aver pianto penso, no non è che pianga con facilità.

D: Beh ma quando ti sei….

R Ma guarda, guarda…ci sono stati dei momenti….. se lei me li rievoca io adesso….

D: Se ci ripensi vengono alla memoria….

R: Ma no mi viene… son cose che non si dimenticano Sono indelebili…