Scala Remo

Remo Scala

Nato nel 1924 a Verona

Intervista del: 05.07.2000 a Torino realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 47 – durata: 62′

Arresto: luglio 1944

Carcerazione: a Torino: nelle Carceri Nuove e all’Albergo Nazionale

Deportazione: Bolzano, Dachau, Bad Gandersheim (sottocampo di Buchenwald)

Liberazione: fuga durante marcia della morte da Bad Gandersheim

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

Io sono SCALA REMO sono nato a Verona il 24 ottobre 1924 e alla bella età di 18 anni sono stato chiamato presso il Regio esercito perché eravamo in guerra ovviamente contro la Grecia, contro l’Albania, contro la Russia,  i paesi balcanici poi in definitiva.  Eravamo già alleati del terzo Reich. Essendo stato chiamato alle armi nell’agosto del ’43, ho dovuto presentarmi alla caserma di Belluno presso il Genio marconisti. Sennonché essendomi presentato il 23 di agosto, mi sembra che questa fosse la data, erano momenti in cui la situazione politico-militare italiana era piuttosto nebulosa; era una situazione che non seguivamo ma di cui ne subivamo le conseguenze. Presso la caserma del Genio di Belluno sono rimasto per una decina di giorni, 23 agosto, 31 agosto sono otto giorni, direi 10,12,14 giorni in questo lasso di tempo avrebbero voluto istruirmi per adoperarmi poi in Grecia come marconista. Infatti il primo scaglione della mia classe, mentre io andavo alla Caserma del genio, partiva per la Grecia, avremmo dovuto poi sostituirli successivamente oppure in altri campi comunque.  L’8 settembre i fatti naturalmente hanno sconvolto tutte le tradizioni militari e ognuno di noi ha scelto la libertà, ovviamente come è stato possibile, essendo Belluno discretamente vicino ai luoghi in cui io abitavo, prima degli eventi bellici, ho potuto rientrare in casa perché i miei abitavano a Lozzo, in una frazione di Lozzo Atestino della provincia di Padova.  A quel punto si presentava il dilemma di quale era la scelta da fare e per la verità non eravamo manco educati a fare una scelta, perché a 18 anni io che provenivo dalle scuole, non avevo esperienze politiche, abitavo in un paese di 3/4 mila abitanti,  prevalentemente agricolo e pertanto senza formazioni culturali specifiche, avrei potuto fare una scelta che era quella di nascondere la testa nella sabbia, tanto è vero che molti dei miei compagni di giochi di allora erano propensi a nascondersi nelle campagne.  Ho avuto la fortuna che mia sorella che abitava allora a Torino ed era in contatto ovviamente con l’élite di Torino, quella che ha potuto poi creare le premesse per il seguito delle scelte di una parte del popolo italiano, è venuta a trovarmi e mi ha consigliato e io ho  aderito ben volentieri mi ha consigliato di seguirla qui nel Piemonte. Nel Piemonte si erano formati già degli aggregati. Perché, essendosi sciolta la IV Armata di stanza in Francia, comandata dal generale Vercellino, molti dei nostri soldati alpini, a piedi o con altri mezzi avevano valicato le Alpi e si erano attestati nel cuneese. Perché molti avevano origini venete, altri avevano origini siciliane, del meridione, per cui non potevano ovviamente portarsi immediatamente nelle loro case e attestandosi lì con armi e bagagli hanno creato dei nuclei, nuclei che sono stati – per nostra fortuna – raccolti da eminenti persone politiche con origini di giustizia e di libertà, provenienti anche da formazioni politiche comuniste o comunque di altre estrazioni. Nel caso mio il Duccio Galimberti che allora era avvocato a Cuneo, aveva ovviamente si era buttato allo sbaraglio, tanto è vero che sulla piazza di Cuneo, lui aveva arringato la folla invitandola ovviamente alla ribellione; comunque lui e altri hanno organizzato in un modo embrionale le prime formazioni. Io al primo ottobre sono andato a formare una formazione, guidata dal capitano Cosa – deceduto di recente -, dal tenente Bertoldo di Vicenza, da un sergente dell’esercito, no ho saltato il quinto, poi c’era addirittura un marinaio con noi e poi c’ero io.  Ero la mascotte, perché ero il più giovane di tutti, per cui diciamo che ero guardato con un occhio privilegiato se vogliamo, se non altro perché tutti mi erano superiori, superiori di esperienza oltretutto. Per cui siamo stati i primi cinque a formare questo aggregato, però noi cinque siamo quelli che abbiamo preso le armi che la IV armata abbandonava via via che si allontanava dalle Alpi e creare dei depositi. Abbiamo cominciato a ricevere a ingrossarci tanto che siamo arrivati ad una formazione di inizialmente di 70 / 80 persone, avevamo tre camion con i quali andavamo nei consorzi a rifornirci di mezzi che poi dovevamo dare alla stessa popolazione che in quel momento non poteva essere rifornita direttamente, perché queste formazioni che erano nate in Val Beggio, a Boves, a …, nel moretanese in genere, ovviamente erano condizionate dalle forze nazifasciste che erano di stanza a Cuneo. Infatti quando noi volevamo fare determinate azioni rompevano il posto di blocco che c’era a Furio, facevamo gli affari nostri e tornavamo a casa, questo era possibile agli albori perché l’entusiasmo nostro e c’era anche l’apatia della parte avversa, non certo dei tedeschi, perché i tedeschi arrivavano quando naturalmente noi disturbavamo i loro interessi. Infatti una delle prime azioni è stata quella all’aeroporto di Mondovì, quando abbiamo portato via 80 fusti di benzina, abbiamo distrutto quattro apparecchi di poco conto, penso apparecchi di avvistamento, era qualcosa che andava bene in quelle località.  Indubbiamente Boves,  Pedraglio, Certosa di Pesio, cominciavano ad assumere delle formazioni militari piuttosto preoccupanti perché certe azioni le facevamo unendoci bande con bande, infatti i nomi che ricorrono del cuneese sono il tenente Aceto, il tenente Dunchi, quello che è stato impiccato in Corso Vinzaglio a cui è stato intitolato l’organizzazione a cui ho aderito io, adesso, da sempre; l’hanno impiccato lì, comunque mi sfugge il nome, è la mia memoria che è piuttosto labile nel tempo, è ovvio che naturalmente questo si verifica più facilmente.  Comunque arriviamo alla Pasqua del ’44 ci hanno attaccato due divisioni tedesche con carri armati cannoncini 88, con l’aviazione per l’avvistamento e ci hanno squassato. Io sono scappato, io comandavo un distaccamento, abbiamo sparato fino a che abbiamo avuto munizioni, poi ci siamo ritirati.

D: Dove è avvenuto questo Remo?

R: Nella Val Pesio, in alta Val Pesio. Infatti io che comandavo un distaccamento che non doveva essere attaccato, perché nel mio distaccamento c’ero io e c’era Piero Bertoldo, ed eravamo lui del 22 faceva parte della IV armata con Vercellino, io invece ero nuovo di zecca e mi ero fatto le ossa nelle varie azioni che avevamo intrapreso e subìto per la verità, anche. Siccome il …era uno spazio di traffico tra la Val Pesio e la Val Ellero, perché noi avevamo il dominio della Val Pesio, della Val Ellero, della Val Corsaglia, della Val Casotto, fino a lì. E il mio distaccamento presidiava la Val Ellero e la Val Pesio, invece cosa è successo? Che gli ucraini che erano, quando c’è stato l’attacco di Pasqua da parte dei tedeschi, i tedeschi avevano come elementi di rottura gli ucraini o i russi, almeno così dall’aspetto così era interpretato da noi; la Val Pesio è la continuazione, la Val Pesio è un fondovalle inizia una strada un ex strada militare che non so per quale ragione era stata costruita a suo tempo, probabilmente perché in alto c’erano dei campi di addestramento per alpini per artiglieria alpina, e comunque mentre… Giasmadona…che era appendice di Vallata che partiva dalla Val Pesio si protendeva verso la Val Ellero che era parallela alla Val Pesio, tanto per creare figuratamente le condizioni, lo spartitraffico in cui ero io quando ero stato mandato lì, mi avevano detto “devi andare lì” e mi hanno dato tutto quello che era possibile avere, troverai una malga che usano i malgari d’estate. Siamo arrivati lì e non c’era nessuna malga, non c’era perché era coperta di neve, allora abbiamo fatto un buco lì di due metri di profondità e siamo entrati, lì poi tagliando dei rami di pino abbiamo creato delle posizioni sopraelevate perché sul pavimento scorreva l’acqua naturalmente prodotta dalla neve che si scioglieva. A lato di Giasmadona che era ad angolo retto con la… c’è il Vallone Cavallo. I tedeschi si erano attestati alla Certosa del Pesio, che era una vecchia, una bella costruzione per la verità, e avevano i … avevano salito, erano risaliti il Vallone cavallo, e sono arrivati dove ci trovavamo noi e sono arrivati, presumo verso la mezzanotte. Noi ci siamo accorti e avevamo in postazione un mitragliatore, avevamo una mitragliatrice con un raffreddamento ad acqua, avevamo anche un… e comunque abbiamo sparato, ma si fa presto a consumare le poche munizioni di cui eravamo in possesso. Premetto che noi avevamo con noi sei ragazzi che erano infermi per congelamento, per dolori reumatici, erano per la verità, almeno quattro erano siciliani, per cui non abituati a quelle temperature, allora siccome al di sotto del Giasmadona c’era un altro distaccamento, comandato da un maresciallo, allora avevo fatto allontanare sei dei miei, e li avevo fati fluire presso l’altro distaccamento, perché avevano più possibilità quelli. Siamo arrivati in quattro abbiamo sparacchiato  quanto ci è stato possibile, e poi ho fatto allontanare siamo rimasti in postazione io e Piero Bertoldo, si sono allontanati poco prima gli altri due, l’ultimo colpo che ci hanno sparato ce l’hanno sparato con la pistola. Abbiamo intravisto delle ombre, noi siamo scesi verso l’altro distaccamento, perché poi di lì potevamo congiungerci con il comando, sennonché avevamo almeno due metri di neve, si infilava una gamba e con le mani si tirava fuori la gamba per portare l’altra più avanti, comunque siamo arrivati all’altro distaccamento che era già stato abbandonato perché era in piena offensiva, e siamo arrivati io e Piero Bertoldo in mezzo ai boschi, i pini erano tutti forati dalle pallottole erano. Mi ricordo che eravamo nel cuore della notte, eravamo fermi ed è passata una pattuglia dei tedeschi a cento metri da noi, loro chiacchieravano tranquillamente, siccome avevano già conquistato il comando, il comando si era ritirato verso la Bisalta, che era la montagna più alta lì, erano padroni della zona.  Comunque il mattino dopo noi siamo arrivati a livello della Val Pesio, abbiamo, c’era un carro armato che transitava avanti e indietro, che faceva naturalmente da pattuglia, abbiamo aspettato che ci avesse superato, abbiamo attraversato il Desio, il fiume Desio e siamo passati dall’altra parte, l’altra parte era stata conquistata e controllata precedentemente perché era una collina abbastanza dolce per cui… … … comunque siamo riusciti a uscire dal cerchio, ci siamo poi incamminati verso Alba, perché ad Alba c’era una grossa formazione e per arrivare lì ad Alba abbiamo dovuto ovviamente trovarci con altri piccoli gruppi che comunque erano alle dipendenze di questa grossa formazione, le quali ci hanno ospitato ci hanno rifornito di denaro e di mezzi. E io e Bertoldo siamo andati a casa nostra. Siamo arrivati a casa nostra qualche giorno, poi è arrivata mia sorella, mi ha riportato a Torino, sono stato aggregato alle formazioni del comando regionale, e in questa formazione cittadina ho fatto alcune azioni con alcuni che però via via queste formazioni si sono assottigliate perché il comandante del mio gruppo è stato arrestato ad esempio; successivamente io che abitavo in una certa via di Torino dove aveva accesso anche a volte Duccio Galimberti, però ci spostavamo per mangiare o per dormire in altre abitazioni, io in uno di questi spostamenti sono capitato in Via Pizzecchi 36, mi hanno preso e sono andato a finire alle Nuove. 

D: Ecco, chi ti ha arrestato?

R: Mi ha arrestato la Questura. Faccio un passo indietro ma molto breve. La mia dotazione era: documenti falsi, avevo un bilingue tedesco che mi dava l’accesso a servirmi di tutti i mezzi mobili, treno, aereo, qualsiasi mezzo, nell’esercizio delle mie funzioni; appartenevo alla questura di Brescia e avevo un tesserino regolamentare a tutti gli effetti; avevo altri documenti, ero armato perché ero un questurino ovviamente in missione a Torino e nel contempo avevo anche una lettera che il Comitato di Liberazione mi aveva affidato che avrei dovuto consegnare mi sembra di ricordare nel pomeriggio. E quella è stata personalmente quella che mi ha messo in difficoltà. Perché evidentemente sono stato seguito o sono stato denunciato, faccio tutte delle ipotesi Sono stato arrestato da dei poliziotti, dalla Questura.

D: Quando questo?

R: Se ricordo bene o il 7 o il 17 luglio del ’44.

D: Ti hanno portato alle carceri Nuove?

R: No, immediatamente mi hanno portato nel Commissariato che stava dietro, dove in quel momento io avevo stabilito il mio domicilio, non ufficiale ovviamente, dove andavo a mangiare e a dormire, per la verità non c’ero ancora andato una volta perché era il primo giorno che mi portavo lì, perché avevamo un appuntamento lì.  Sennonché quando mi hanno portato al Commissariato, la prima cosa è quella che mi hanno preso la pistola, mi hanno preso i  documenti e mi hanno preso la lettera, ovviamente mi hanno messo subito in una cella e mi hanno lasciato lì. I telefoni avranno cominciato a ronzare perché nel tardo pomeriggio mi hanno preso e mi hanno portato alla Questura in Corso Vinzaglio. Lì ho subìto un primo interrogatorio. Dopo questo primi interrogatorio, non ricordo se è stato lo stesso giorno nella notte o il giorno immediatamente successivo, sono stato portato alle Carceri le Nuove che si trovano a Torino in corso Vittorio Emanuele 127.  E lì sono stato aggregato al primo braccio tedesco. Perché c’erano, tutti i carceri hanno dei bracci, sembra che sia l’architettura con cui sono stati ideati a suo tempo.  E lì mi sono fermato, mi sembra, un paio di mesi. Quasi giornalmente venivo preso e portato all’Albergo Nazionale in Piazza San Carlo, e lì a volte a schiaffoni a volte con belle maniere, perché i due sistemi si, insomma evidentemente fanno parte di una casistica……

D: Scusa, lì all’albergo che dici te, cosa c’era, era sede di che cosa?

R: La sede delle SS tedesca.  Infatti tutte le inquisizioni sono state fatte lì, perché invece le brigate nere avevano sede in tutt’altra zona della città che era in Via Asti… io non sono mai stato lì.  Nei primi tempi miei io ho detto sono stato aggregato al braccio tedesco, non è vero il primo tempo ero…, al… molto probabilmente in forza non tanto della Questura, quanto probabilmente delle brigate. Cioè non sapevano bene se io dovevo essere utilizzato dalle brigate nere o dalle SS e sono stato messo nelle cantine che non hanno la luce del giorno, tanto è vero che le lampadine erano accese giorno e notte, però il trattamento era… però per portarmi all’albergo Nazionale comunque mi prelevavano di lì. Evidentemente dopodiché ho assunto una identità specifica e allora sono stato mandato alla cella mi sembra 50/52 del primo braccio tedesco. La cella aveva le dimensioni di tre metri per due, inizialmente ero solo, successivamente hanno, hanno messo con me un partigiano della Valsesia, successivamente hanno aggiunto un terzo membro in questo albergo mio, che era uno di Bardonecchia. E in ultimo hanno messo il dottor Veroi che era il direttore del Banco di Roma, il quale abitava allora all’albergo che c’è in Via Carlo Alberto, che c’è tutt’ora, un albergo di seconda categoria comunque, avevano fatto una retata preso tutti quanti e li avevano…  A questo punto hanno aggiunto un ragazzo tedesco di 16/17 anni, che abitava ad Ivrea con la madre. Siccome in quel momento, in quell’epoca doveva essere stato emanato un editto in Germania che tutti i tedeschi civili dovevano rientrare in patria, nel timore che questo ragazzo non rientrasse l’hanno preso e l’hanno messo in cella con me. Parlava perfettamente l’italiano, era un piacere per me conversare con lui, perché io 18 anni e lui 17, 16/17, eravamo coetanei, comunque mi ha insegnato molte cose, mi ha dato i primi rudimenti di tedesco, mi ha detto cosa vuol dire …… oppure altre cose. Poi, probabilmente constatato, che ero più utile in Germania che rimanere in prigione lì, nonostante tutti i giorni facessero gli appelli per andare a prelevare degli ostaggi da utilizzare a memento per la popolazione, ovviamente, sono partito di lì unitamente a due pullman e siamo andati a Milano; abbiamo prelevato delle altre persone, e siamo andati a Bolzano.

D: Questo quando?

R: Direi i primi giorni di settembre, perché se io sono stato arrestato il 7 luglio, ho trascorso …alle Nuove, luglio agosto due mesi, i primi giorni di settembre.

D: Nel campo di Bolzano quindi ti hanno messo dove?

R: Nel campo di Bolzano mi hanno messo insieme a tutti gli altri, nel capannone, ovviamente, però io a Bolzano mi sono fermato quattro o cinque giorni, direi una settimana sola. Perché probabilmente c’era un trasporto che avrebbe, cioè giornalmente c’erano in atto dei trasporti. Faccio solo una breve pausa. Quando ero su in montagna nella Val Pesio, con noi avevamo un capitano inglese che lui si faceva chiamare Ciro Cavallino, ed era uno del controspionaggio inglese ed era stato paracadutato con la radio per farci avere i lanci.  Quando io ero alle Nuove, un giorno siccome tutte le sere ci affacciavamo alle sbarre e da cella a cella si chiacchierava, ho sentito la voce di un tizio che per me era nota. E l’ho chiamato e gli ho detto “mio Ciro” perché lui diceva che era genovese, allora anziché dire “Ciro Cavallino”, mio Ciro alla genovese, e lui mi ha detto “e tu chi sei?” e io ho detto “io sono il piccolo alpino, quello che tu hai definito piccolo alpino. Ci siamo comunque ritrovati, lui era stato arrestato con la radio a Mondovì, io ero stato, avevo avuto altre vicende, e comunque ci siamo ritrovati a Bolzano. Dovevamo scappare da Bolzano, però scappare da Bolzano era discretamente facile, ma la Valtellina era nominata perché tutti i contadini che riuscivano a prendere uno di noi avrebbe beneficiato di una certa … Lui è partito per Auschwitz e non è più tornato. Io successivamente sono partito per Dachau. Avremmo potuto scappare, perché bastava togliere le assi dei vagoni bestiame ed era forse fattibile, però c’avevano ammonito che per ognuno che scappava sette ne avrebbero ammazzati, e direi che nessuno ha tentato di scappare. Comunque sono arrivato a Dachau.

D: Erano i primi di ottobre, se ti ricordi?

R: No direi ancora settembre, settembre perché io a Bolzano sono rimasto una settimana, non di più. In una settimana a me mi hanno portato due volte a Gargazzone, e mi sembra che ci sia un paese con quel nome, a raccogliere le mele. Per cui sono stato una settimana, un paio di volte a raccogliere mele e un paio di volte a caricarmi dei fasci di legno da portare da un posto all’altro, solo per tenerci occupati ovviamente. E’ un sistema valido in tutti i campi di concentramento. Naturalmente anche in quelli inglesi comunque, almeno il cinema ce ne dà …

D: Ti ricordi se col tuo trasporto c’erano anche dei religiosi con te?

R: Con me da Torino noi siamo partiti, sono partito con padre Girotti e un domenicano, che era un continuatore di una critica, più che di una critica di un qualcosa sulla Bibbia, ed era un uomo molto illuminato, era stato molto in Palestina, molto nell’estremo oriente, doveva conoscere molto bene le lingue, e con me c’era poi anche Padre Girotti. C’era un sacerdote leggermente più vecchio di me, ma che comunque era un uomo veramente dedito alle cure delle sue anime, al di là di qual era la confessione e la colorazione politica.

D: Scusa hai detto Padre Girotti e quell’altro? erano due o uno i sacerdoti?

R. No, due.

D: Don Angelo?

R: Sì, ma il cognome?

D: Dalmasso. E sono partiti con te anche da Bolzano?

R: Sì tutti e due, tutti e due sono partiti con me e siamo arrivati a Dachau. E a Dachau ovviamente siamo arrivati in questo megacomplesso Dachau e un altro nel 1933, Dachau che è il primo campo di concentramento tedesco nato unicamente perché per i sommovimenti socialistoidi, oltre credo che quelli degli ebrei, diciamo, siano stati successivi perché il mio capo campo del mio blocco era dentro, era 11 anni che era dentro, era dentro nel 33, ed era un tedesco. Era un tedesco, ed era dentro perché, a detta sua, perché era un socialista. A Dachau inizialmente siamo stati messi nei blocchi chiusi perché era molto organizzato Dachau. Dachau immaginatevi un campo immenso nel quale conviveva un campo da football, convivevano le docce, e poi c’era tutto un reparto che diviso da viali fiancheggiati da alberati, da cipressi. A destra e a sinistra c’erano blocchi chiusi e blocchi aperti, blocchi dei ciechi e blocchi dei sacerdoti, c’erano i blocchi, c’erano i … dei blocchi particolari che in questo momento non mi sovviene qual è la definizione che potrei dare. Io ero in un blocco chiuso, blocco chiuso perché avrei dovuto, nelle teorie, stare lì 40 giorni, dopo di che visto che non ero contagioso avrei dovuto essere immesso nei lavori comuni. Invece non è vero. Padre Girotti e Don Dalmasso invece sono andati a finire ad alimentare il blocco dei sacerdoti. Dietro il mio blocco chiuso c’era il blocco dei ciechi. A Dachau io sono stato prelevato, assieme a molti altri, venivamo prelevati alle tre di notte perché c’era la solita conta che durava da un’ora a due ore, venivo portato a Dachau, a Monaco di Baviera, per mettere a posto i pilari evidentemente, perché avevano subito dei bombardamenti o altro genere di infortuni.

D: Il tuo numero di immatricolazione di Dachau te lo ricordi?

R: Ce l’ho a casa.

D: Però ti hanno immatricolato?

R: Certo, certo, io ce li ho tutti e due i numeri, uno più alto e uno più basso, perché ovviamente il secondo probabilmente quello chiuso, comunque te lo posso comunicare per telefono quello, eventualmente se lo puoi inserire. E’ un numero di 6 cifre comunque quello di Dachau. Però … che comunque non sono mai stato uno sprovveduto, ho sempre cercato di proclamare, per quanto è possibile, la mia vita, Dachau comunque era una prospettiva che era quantomai dolorosa e difficile, e non mi consentiva delle possibilità. A Dachau si poteva scappare, ma molti di quelli che erano scappati erano rientrati e portavano sulla schiena un grosso cerchio rosso per cui evidentemente non era una strada da seguire. Nel frattempo evidentemente si era creata la necessità da parte delle formazioni tedesche, dell’intelligenza tedesca, di attivare delle fabbriche per alimentare la guerra. Per cui cercavano degli operai specializzati per appunto popolare queste fabbriche. Cercavano un po’ di tutto. Io siccome eravamo alle soglie dell’inverno, ovviamente l’inverno nelle condizioni che avevo, gli indumenti che era una giacca di canapa, una camicia che doveva essere, provenire dall’Ungheria perché era tutta istoriata, era splendida, ma era trasparente, pantaloni e una specie di paletot, il paletot era la stessa giacca leggermente più lunga. Le prospettive comunque, l’alimentazione era quella che … Diciamo che in quelle condizioni io potevo sopravvivere ancora per qualche mese perché provenivo già da un ambiente che mi aveva alimentato, mi aveva riempito fisicamente, mi aveva consentito di sopportare anche disagi. Comunque io … Mi sono messo in lista per andare ad unirmi a questo gruppo. Mi hanno chiesto qual era la mia specializzazione, io avevo detto che ero un collaudatore della Fiat, che conoscevo il …, il dico metro, … conoscevo un po’ tutte le strumentazioni, il che non è vero, le ho scoperte dopo … E loro, per carità, sapendo che provenivo dalla Fiat era vangelo il mio. E assieme con me è partito un altro col quale sono sempre, c’era un mulatto che è sempre stato assieme con me, Dino Miniti si chiama. Comunque il trasporto era diretto a Buchenwald, però le necessità, tutti i grossi campi di concentramento, Auschwitz, Buchenwald, Dachau, e non lo so quanti altri, Ravensbrück, avevano dei sottocampi che venivano utilizzati nei modi più svariati, vuoi perché c’era una sovrappopolazione, e allora per esempio a Dachau correvo il rischio di andare ad Allach, ad Allach era morto il tenente Franco, che era il comandante della … Per cui diciamo che andando in fabbrica è vero che avrei reso più difficoltoso la fine di questa guerra, però diciamo che tutto sommato, io una parte l’avevo fatta, la seconda parte me la sarei gestita per conto mio, per cui avrei potuto collaborare o tentare anche qualcosa d’altro.

Comunque siamo stati portati a Bad Gandersheim, che è un sottocampo di Buchenwald. A Bad Gandersheim c’era una fabbrica che probabilmente era stata abbandonata per la semplice fatto che la popolazione attiva era stata mandata in Russia.

D: Scusa, quindi a Buchenwald non ti hanno portato in quel trasporto lì? E ti hanno immatricolato nel sottocampo?

R: Certo. Arrivati a Bad Gandersheim ci hanno ricoverati nella chiesa sconsacrata, perché il campo non c’era. Allora abbiamo creato il campo, le baracche, abbiamo creato, l’abbiamo circondato col filo spinato, con l’alta tensione, coi vari trespoli dove le guardie ci controllavano giorno e notte, e nell’ambito del campo era inserita anche la fabbrica.  Niente, io ho preso posto al collaudo dei pezzi, la fabbrica produceva aeroplani, i caccia. Nel tempo che sono rimasto lì ne abbiamo costruito uno, non ne è uscito nessuno. Nel frattempo, anche perché la Russia avanzava, infatti dietro al mio banco di lavoro c’erano dei carsuoli che avevano delle dimensioni di 3 metri per 2, ed erano le masserizie dei tedeschi, dei tecnici tedeschi che erano in Polonia o oltre Polonia, e che arretrando rimandavano alle loro origini le loro cose. Tanto è vero che io ho tolto un’asse da questo e ho trovato delle carte geografiche che ho potuto dare a un cecoslovacco il quale è scappato. Lui conosceva la lingua tedesca abbastanza bene.

D: Il trasporto da Dachau a questo sottocampo di Buchenwald, ti ricordi quando più o meno è avvenuto? Prima dell’inverno? Prima di Natale o dopo Natale?

R: prima di Natale, direi che è avvenuto nei primi giorni, nella prima decade o quindicina di ottobre.

D: Quindi appena arrivato tu a Dachau in sostanza

R: A Dachau io ci sono stato 15-20 giorni, forse anche 20 giorni, sono andato cinque o sei volte a Monaco di Baviera a lavorare, e poi basta.

D: Ti ricordi invece ritornando in questo sottocampo di Buchenwald, dicevi costruivate degli apparecchi voi, degli aeroplani, ti ricordi per che ditta?

R: Io ho sempre detto che è la Messerschmitt, però una dottoressa di Berlino che è venuta ad intervistarmi, e che io ho …., mi ha detto che non era la Messerschmitt, non era neanche la Yunker, era un altro nome molto probabilmente il governo tedesco, come il governo italiano, dava mandato alla Fiat la quale Fiat poi passava, diciamo, certe competenze ad altre. Comunque il nome è diverso.

D: E tu sei rimasto lì sempre in questo sottocampo di Buchenwald?

R: Sempre nel sottocampo di Buchenwald, inizialmente abbiamo fatto questi aeroplani,  in un secondo tempo abbiamo creato ……, era un imbuto alto direi cinque-sei metri, ma proprio ad imbuto, ed è rimasto tale. Il terzo aggiornamento di produzione sono state zappe, vanghe, tridenti e cose del genere. Comunque il tutto è rimasto dentro perché le ferrovie tedesche non avevano possibilità di spostamenti, perché i bombardamenti erano tali infatti a volte io ho osservato che c’erano delle incursioni che duravano per delle ore, oscuravano il sole, c’era una grossa ombra sul terreno. Per cui, ecco perché la fabbrica ha prodotto senza essere d’aiuto.

D: Remo eravate in tanti in questo sottocampo qui di deportati?

R: In questo sottocampo faccio un calcolo a memoria, c’era un blocco italiano, un blocco di russi, un blocco di francesi, un blocco di polacchi, un blocco eterogeneo, e direi che per ogni blocco potevano esserci, sei blocchi diciamo e non cinque, sei blocchi un 500 persone. Forse anche di più.

D: E lì sei rimasto, in questo sottocampo sei rimasto fino a quando?

R: Siamo rimasti fino all’incirca alle soglie della Pasqua del ‘45, che non so in che mese sia caduta. Premetto che gli ultimi giorni ci è stata fatta una ricca offerta da parte del comandante del campo, ha detto chi di noi vuol vestire la divisa tedesca avremmo potuto avere gioie, denaro e oltretutto, ma invece qual era la voce di sottofondo? che ci avrebbero incatenato alle mitragliatrici perché eravamo tutti militari validi, eravamo.  Faccio una premessa che nel campo avevamo un Revier, cioè un ospedale, un’infermeria. Io sono stato ammalato, sono svenuto in fabbrica, febbre a 40, mi portano in infermeria e il medico dell’infermeria era uno spagnolo, il quale aveva fatto la guerra contro Franco. Poi ha vinto Franco e lui è passato in Francia. E’ stato preso dai tedeschi quando hanno conquistato la Francia e l’hanno portato lì. Gli ultimi tre giorni del campo c’è stata fatta prima l’offerta di vestire la divisa, successivamente il comandante del campo ha detto che ci avrebbe spostato perché stavano avanzando inglesi, francesi e americani. E noi ci trovavamo in un cul de sac, come si dice. Pertanto chi era in condizioni di camminare sarebbe stato, avrebbe fatto parte della colonna, chi non era in condizioni di camminare sarebbe stato aiutato, caricato su dei carri. Molti hanno aderito, alcuni hanno aderito a questa seconda offerta, possibilità, e mentre noi ci siamo rivolti eravamo in un buon rapporto col medico, andiamo dal medico gli diciamo “cosa dobbiamo scegliere?” e lui ci ha risposto “marchez, marchez, marchez”, tre volte ce lo ha detto. Noi ce ne siamo andati via, il mattino dopo verso l’alba, verso le 4 del mattino, mi sono andato per andare a quella specie di toilette che era poi una fossa con una specie di panca da una parte e dall’altra, ci si accomodava come si poteva lì, e nel frattempo hanno raggruppato quello che avevano aderito ad essere … Dietro il campo c’era un boschetto un po’ più in alto, li hanno portati lì, avevano piazzato le mitragliatrici, non se ne è salvato uno. E lì ce ne saranno rimasti poco poco una cinquantina. Poi ci hanno intruppato, siamo partiti. Prima di partire hanno impiccato un prigioniero, perché doveva aver commesso qualcosa che non era gradito ai tedeschi. Probabilmente era un ammonimento, perché quello era palese, invece l’assassinio nel bosco era qualcosa di occulto, e pertanto non otteneva lo stesso effetto. Ci hanno portato via, ci siamo incamminati, non lo so in quale direzione ovviamente, doveva esserci un’apertura ovviamente ad un certo, e il primo giorno, la prima sera, ovviamente siamo partiti, non ci hanno dato né alimenti né nulla, ognuno di noi ha portato tutti i propri bagagli. Ci hanno fatto accomodare in una chiesa, cristiana, cattolica, apostolica. Infatti le pie donne ci hanno aperto la porta, siamo entrati, hanno chiuso a chiave. Faccio la premessa che abbiamo, siamo andati, prima di partire siamo andati nelle cucine e nei magazzini, e tutto ciò che abbiamo potuto arraffare lo abbiamo arraffato. E molti di noi, io compreso, abbiamo preso delle patate, ma delle patate di quelle che mangiano i ragazzi, mi sfugge il nome comunque. Le abbiamo mangiate, non avremmo dovuto. Comunque entrati in questa chiesa con noi c’era un gruppo di polacchi, i quali si sono avvicinati … e hanno suonato l’Ave Maria. Le lacrime, sembrava il Mississipi sembrava. Dopo di che ovviamente tutti avevamo la dissenteria, non potevamo, non c’era una toilette, ci siamo accomodati per quanto, il mattino dopo, dopo questo oltraggio da parte nostra ovviamente le pie donne che hanno inveito, con ragione sotto un certo aspetto perché abbiamo sconsacrato qualcosa che era un mito da guardare col massimo del rispetto, ma nel contempo avrebbero dovuto provvedere in qualche modo. Comunque la punizione per quello che avevamo commesso, ne hanno scelto un certo numero e chi li sceglieva il comandante. Faccio un passo indietro: il comandante del campo non ha scortato la colonna, la colonna era guidata da un sergente polacco delle SS, una vera figura del militare classico per tradizione, il quale aveva il compito di scegliere chi di noi era sacrificabile. Dopo di che c’erano i soliti due russi dietro alla colonna, i quali avevano unicamente il compito naturalmente di non far soffrire per quanto era possibile, e poi la mentina era quella che mascherava e annullava in parte, perché non poteva annullare tutto quanto. Tutto questo si è verificato per nove giorni, e per nove giorni la colonna che è partita, perché abbiamo formato varie colonne, la mia colonna che eravamo 1.500 in partenza, ho detto 1.500 mentre prima parlavo di un cinquecento, probabilmente non so quale dei due sia il valore esatto, ma comunque ammettendo che fossimo anche un cinquecento, io ero ad un certo momento, dopo che sono scappato tre volte, l’ultima volta ero il 35° vivo.

D: E di questi quanti italiani Remo?

R: C’era uno di Roma, direi che eravamo equidistanti, forse eravamo 5-6 italiani, 5-6 francesi, qualche polacco, c’erano degli ungheresi, c’erano dei cecoslovacchi, c’era tutta l’Europa.

D: Remo tu sei scappato dove più o meno, ti ricordi?

R: Sono scappato, oso dire, la prima volta sono scappato forse al terzo giorno di marcia, sono scappato perché io non avevo futuro perché i vestimenti, i pantaloni e la giacca di canapa nel camminare strusciavano sulla pelle e mi avevano scoperto le ossa delle ginocchia. Nel contempo, siccome io ero partito con gli zoccoli olandesi, erano zoccoli non adatti al mio piede cosa succedeva.. che  un po’ strusciavo in avanti e un po’ invece  a seconda del terreno. E mi sono rovinato totalmente i piedi. Un mio compagno di Milano mi ha prestato le sue scarpe, disgraziatamente nel tallone c’era un chiodo che si è infilato nel mio tallone. Comunque il medico spagnolo mi ha medicato, mi ha messo le garze di carta, che sono durate lo spazio non di una notte lo spazio di un paio d’ore, perché l’umore del liquido che usciva dalle ginocchia e dai piedi ovviamente … Comunque al terzo giorno ho detto “tanto per andare oltre”, si era creata l’opportunità, mi era sembrato che eravamo già diminuiti di numero, mi sembra che ci fosse una certa forma di lassismo da parte delle SS tedesche che erano tutti molto anziani per la verità, perché i giovani erano sui fronti, sui vari fronti. E io e Minetti di Torino ci siamo allontanati in una sosta. Avremo fatto 300 metri, un ragazzino che poteva avere 8-11 anni non di più, con un fucile, un … che era più lungo di lui, ci ha fermato, ci ha portato in paese perché evidentemente c’era stata la segnalazione, e i tedeschi avevano ovviamente schierato dei vigilanti.

D: Scusa Remo, tu quindi la tua Liberazione tu sei scappato per liberarti?

R: Mi sono liberato.