Scuratti Mario

Mario Scuratti

Nato il 09.02.1926 a Muggiò (MI)

Intervista del: 09.09.2003 a Monza (MI) realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 188 – durata: 41′ circa

Arresto: a casa, in gennaio del 1945

Carcerazione: Monza – via Tommaso Grossi, Milano – S. Vittore

Deportazione: Bolzano – Val Sarentino

Liberazione: 01.05.1945

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni. 

Mario Scuratti, nato il 9 febbraio 1926 a Muggiò, ora residente a Monza in Via Guerrazzi 55/B. Inizio il mio racconto.

La mia cattura è avvenuta, non so se è stato su delazione perché noi come gruppo, la 104 brigata Garibaldi collegata con quella di Cinisello, verso la Taccona c’era una cascinotto dove c’erano dentro delle armi e qualcuno ha parlato e sono intervenuti i fascisti e han bruciato tutto.

Forse han trovato i documenti come lì dicevano, invece, non so come è stato. Ci han preso, almeno il sottoscritto quando l’han preso l’han portato il Via Tommaso Grossi a Monza dove c’era il comando delle SS.

Lì così, l’interrogatorio, hanno messo là un centinaio di fotografie; conosci questo, conosci quell’altro. Sì, io conoscevo quelli di San Fruttuoso, come i fratelli Carpani che dopo son fuggiti con Moscatelli. Di lì, ci han portato, dopo l’interrogatorio, dopo un po’ di tirate d’orecchie, qualche sberla, finito l’interrogatorio, ci han portati, mi han portato al carcere di Monza, lì così.

D: Ecco, scusa Mario, quando ti hanno arrestato?

R: Ecco, lì ho le date, dev’essere stato il 14 gennaio o il 23 del ’45

D: Ecco, scusami sempre, tu quanti anni avevi allora?

R: Avevo 18, quasi 19 anni

D: E lavoravi dove?

R: Io, no, lavoravo alla Pirelli però in quel periodo lì, diciamo così, il primo quadrimestre del ’26, allora, ero stato chiamato alle armi e io non mi son presentato e siam andati lì a lavorare un po’ nei campi degli agricoltori in quella zona lì.

D: Ecco ma tu abitavi lì, dov’è che abitavi allora?

R: Io abitavo, sempre a Monza, in Viale Lombardia 228, la nuova Valassina è lì.

D: E ti hanno preso a Cinisello?

R: No, mi han preso lì proprio a casa perché noi si dormiva sotto i magazzini, noi li chiamavamo i ripostigli e allora si era fatto come un rifugio, lì qualcuno ha parlato e son venuti a prenderci e dopo mi hanno portato …

D: In Via Tommaso Grossi

R: In Via Tommaso Grossi

D: Ma son venuti gli italiani o i germanici a prenderti?

R: No, erano italiani perché erano qui alla scuola di San Fruttuoso, c’erano dentro un po’ di tutti, alpini, bersaglieri, era un gruppo misto delle telecomunicazioni, praticamente era un centro, e ci han portati lì alle scuole di San Fruttuoso; di lì dopo mi han portato a Monza, in Via Tommaso Grossi, di lì, in una casa.

D: Ecco, ma lì in via Tommaso Grossi chi ti faceva gli interrogatori, erano italiani o germanici?

R: Ma, erano italiani, ma lì era la sede dove, io sono venuto a sapere, c’era il comando tedesco perché dopo, dato dei documenti, io praticamente ero in mano ai tedeschi, ci han portato in mano ai tedeschi, tant’è vero che dopo li avevano trovati a San Vittore, quella gente lì che ci aveva portato a Bolzano.

D: Quindi, scusa, via Tommaso Grossi, carcere di Monza.

R: Carcere di Monza, lì siam stati tre giorni. Dopo al mattino presto ci hanno caricato su un camion e lì è stato che, abbiam scoperto che eravamo lì in cinque di San Fruttuoso, tutti e cinque, allora c’era Bianchi Osvaldo, c’era Pessina, mi scappa il nome, c’era Fossati Franco e c’era Serrughetti, perché quello lì mi sembra che era stato già nell’esercito repubblichino, era scappato e dopo l’han preso, non so.

Si sospettava che fosse stato lui a parlare, perché, tutto lì, o che ci hanno ingannato e lì con i pullman, partendo di sera, ci han portato a Bolzano.

D: Scusami, a San Vittore, ti ricordi se ti hanno immatricolato a San Vittore?

R: San Vittore, tant’è vero che ho lì i documenti. A San Vittore avevo il milletrecento e qualche cosa, poi dopo i documenti, cella 17, ho lì un foglietto ancora, fatto da loro, fogliettino fatto da loro con su la cella del sesto raggio, quello dei deportati.

D: Che piano?

R: Piano, era forse l’ultimo, credo, perché era un casermone; eravamo là tutti e cinque, ci han dato una coperta a testa, due le abbiam messe di sotto e tre di sopra per coprirci tutti assieme, tutto lì.

D: E lì quanti giorni sei rimasto a San Vittore?

R: Lì siam stati un mese quasi, adesso io, praticamente le date della partenza e dell’arrivo corrispondono a quello che era il libretto di Bolzano, della Città di Bolzano.

D: E quindi da San Vittore poi vi hanno portati a Bolzano?

R: Bolzano

D: Ma come ti hanno portato a Bolzano?

R: Coi pullman, con dei pullman, lì alla sera, tant’è vero che c’erano delle strade sconnesse per i bombardamenti e siamo arrivati al mattino là.

I diciannove anni, tu mi hai chiesto quanti anni avevo, li ho compiuti a San Vittore, perché lì siam arrivati al 14, dev’essere stato il 20 di gennaio al carcere di Monza,il 23 a San Vittore, il 14 o 15 ci han portato a Bolzano e lì siam stati una settimana circa a Bolzano perché eravamo circa ottocento perché arrivavano da Torino, un po’ dappertutto. Siam stati lì circa una settimana, poi ci han messo sui vagoni, siam stati messi sui vagoni, siam stati lì circa 3 giorni in stazione, poi han incominciato i bombardamenti sul Brennero allora ci han tirati giù

D: Ecco, scusami, il viaggio da Milano, da San Vittore a Bolzano, lo avete fatto in pullman; con te c’erano gli altri tuoi quattro amici, quelli di San Fruttuoso?

R: Sì

D: Ecco, chi faceva la guardia sul pullman, chi erano?

R: Tedeschi, tutti tedeschi

D: Come ti ricordi l’arrivo nel campo a Bolzano?

R: L ‘ arrivo nel campo a Bolzano, noi quando siamo arrivati ci han portati al lavaggio, pelati tutti, teste e così via e ci han dato la tuta che era bianca come quella della marina, telone grosso e ci han dato i numeri, uno qui e uno da mettere sulla gamba

D: E il tuo numero?

R: Il mio numero era 9643.

D: E assieme al numero ti han dato un’altra cosa da mettere su, ti han dato un triangolo assieme al numero?

R: È quello, triangolo rosso e il numero era quello. Eravamo lì oltre a essere in campo, eravamo ancora cintati perché noi eravamo i pericolosi perché avevamo anche la “x” sulla schiena e confinavamo con le donne, era l’H, perché erano due cosi vicini, mi sembra che era E o H, tant’è vero che sul libro lì, ho segnato in rosso tutto quello che è.

D: Ecco, lì a Bolzano, cosa vi facevano fare, nel campo di Bolzano?

R: Nel campo di Bolzano, la mattina la sveglia, lavati e così via, poi la chiamata, inquadrati, cappelli su, cappelli giù, cappelli su, cappelli giù finché erano stanchi, poi quando uccidevano qualcuno ce lo presentavano là nel campo, se uno tenta di fuggire, questa è la fine, se uno non esegue quello che è, fa questa fine, sempre così, tutti i giorni la chiamata poi si ritornava dentro, si stava là a far niente, a fare, noi lo chiamavamo il rastrellamento, perché, a uccidere i pidocchi; croce rossa, croce nera erano i vari tipi e si faceva quel lavoro lì, ecco.

D: Ascolta, ti ricordi chi faceva le guardie, se erano italiani, se erano germanici?

R: No, no, tedeschi, tedeschi, poi era famoso quello che è scappato in Canada, e poi il comandante era quello che arrivava da Fossoli, il comandante.

D: E lì sei rimasto lì a Bolzano quanto tempo, nel Lager?

R: Nel Lager son stato lì una decina di giorni, perché dopo ci hanno spostato.

D: Dopo vi hanno portato sul treno per la partenza?

R: Per la partenza.

D: Come è avvenuto quel discorso lì della partenza, vi hanno chiamati all’appello?

R: Sì, sì chiamati uno a uno ci han portato con i camion in stazione, su, piombati, io praticamente mi son dissetato un po’ perché, non solo io, avevo un dentifricio alla menta, allora lo facevo passare un po’ a tutti per dissetarsi perché avevo un po’ di sete ma non si poteva neanche sedersi né niente.

D: E questo alla stazione di Bolzano o …?

R: No, no stazione di Bolzano.

D: Proprio alla stazione, e vi han fatto entrare in stazione e vi han caricato?

R: Tre vagoni là.

D: Sul carro bestiame?

R: Perché ci han portato dove c’erano i vagoni e ci han caricati, forse anche su un binario morto, non lo so.

D: E però il treno non è mai partito?

R: Mai partito perché dopo si sentiva un traffico di aerei, bombardamenti e si veniva a sapere un po’ così che bombardavano il Brennero perché quando si andava fuori in quella villa lì dove c’erano i famosi tedeschi, austriaci, quelli della…quelli anziani che si mettevano a controllarci perché non c’erano più giovani. E allora eravamo lì, primo lavoro che ho fatto è in questa villa che era su, in alto Bolzano, adesso non mi ricordo e là a fare l’imbianchino, era più l’imbiancatura che finiva su noi che quella che si dava ai muri.

D: Solo te o anche gli altri tuoi amici?

R: No, io e il Serughetti, in due, che poi lui ha tentato di fuggire, era fuggito, e io dopo l’ho chiamato perché stavano già sparandogli; “Peppino ritorna indietro, Peppino ritorna indietro” e allora è ritornato indietro ma in quel periodo lì eravamo già spostati giù in Val Sarentino e cosa han fatto? Quando è rientrato al campo, l’hanno messo al palo, tutta notte, senza mangiare e io penso adesso al rischio che ho corso, gli ho portato da mangiare, fuori alla sera, andar là a dargli qualche cosa da mangiare.

D: Questo in Val Sarentino?

R: Val Sarentino

D: Ecco, ma allora, andiamo un attimo; sei sul vagone per andare oltralpe, il treno non parte; eravate in tanti lì sul vagone?

R: Tre vagoni erano.

D: Tre vagoni?

R: Adesso il numero…

D: Solamente uomini o anche donne?

R: No, uomini soltanto, a me risulta, il mio vagone erano soltanto uomini.

D: E ti ricordi se c’era con voi qualche sacerdote?

R: C’era un sacerdote giovane, non mi ricordo il nome, mi ricordo il nome dentro il mio blocco, che era professor Poggi di Genova, c’era un tenore, però questo era tra gli ebrei, tenore Asco Campagnano che gli facevano sempre cantare “Il nemico della patria” dell’Andrea S… poi c’era un certo avvocato Ulisse, non so se era un nome di battaglia o che, c’erano proprio nel mio … diversi intellettuali che erano una ventina, non li abbiamo più visti.

Però sono venuto a sapere che dopo il professor Poggi, a Genova, c’era ancora, perché leggendo i giornali, non so se dopo, forse perché erano gli ultimi periodi, si son salvati.

D: E poi c’era questo sacerdote giovane che dicevi.

R: Non mi ricordo più il nome.

D: E anche nel campo, ti ricordi se c’erano dei sacerdoti?

R: E sì, se c’era quello lì, c’era senz’altro qualcun altro.

D: E di donne ti ricordi qualcuna?

R: La moglie di Pesce, la Nori, la Nori, Pesce, me l’ha detto dopo quando ero là anch’io a Bolzano e lì dopo, in Val Sarentino eravamo lì a spaccare i sassi, lì praticamente nel torrente che vien giù dovevano fare un depuratore perché tutta la Val Sarentino è una galleria sola e da una parte avevano messo dei macchinari per fare proiettili, macchinari e noi eravamo giù, dentro ‘sto torrente, eravamo una cinquantina a spaccare ‘sti blocchi di sassi perché dovevano fare degli strati grossi, poi più leggeri, più fini; depurare l’acqua per alimentare tutte quelle gallerie

D: Ecco, com’è che vi hanno scelti per mandarvi in Val Sarentino?

R: Han preso tutti quelli lì; li han suddivisi, fatti scendere dal treno e li han divisi perché Pessina, Fossati e un altro, Bianchi li avevano mandati su a Vipiteno e dopo ho saputo; cosa eravate lì a fare? Si interveniva quando c’erano i bombardamenti a sostituire i binari che erano rotti; invece noi eravamo lì a far quel lavoro lì.

D: E invece voi vi hanno mandato in Val Sarentino?

R: Val Sarentino.

D: Solo uomini eravate?

R: Solo uomini, sì.

D: Ti ricordi com’è che avete fatto il viaggio per andar su da Bolzano, qui, a Val Sarentino?

R: Con i camion tedeschi, perché dopo lì c’erano delle baracche, lì proprio in Val Sarentino, perché facevano anche i lavori; c’erano delle baracche e noi rimanevamo lì in Val Sarentino, si usciva al mattino. C’erano i tedeschi a controllarci però c’erano anche i tecnici della, quelli che controllavano i lavori, come si chiamano quelli lì, la Todt.

D: La Todt.

R: La Todt, c’erano quelli lì che controllavano i lavori, però c’erano gli armati tedeschi a controllare.

D: Ecco Mario scusa, lì in Val Sarentino ti ricordi dov’era più o meno il campo, in che zona era il campo, vicino a delle case?

R: No.

D: C’era un castello, ti ricordi un particolare?

R: Mi ricordo dei particolari; quando si veniva giù e così via, c’erano quei famosi tedeschi, quella della zona dell’Alto Tirolo, con ‘sto grembiule azzurro oppure vestito, che ci sputavano addosso, ci davano qualche calcio.

D: Ma era vicino a qualche paese?

R: Paesi non ne ho visti però era una zona dove forse c’erano i famosi, le famose case, come si chiamano non mi ricordo…

D: Masi.

R: I masi lì, perché venivano giù a gruppi, a piedi.

D: Però il campo era vicino al torrente?

R: Al torrente sì, vicino al torrente.

D: Il campo era grande? Com’era il campo, come ti ricordi il campo?

R: Il campo era una baracca, sarà stato lungo, eravamo una cinquantina dentro, era una baracca.

D: Una sola?

R: Una sola.

D: Ed era recintata questa baracca?

R: Sì, sì recintata.

D: Il posto in cui lavoravate, era nel campo oppure per lavorare andavate fuori dal campo?

R: No, no si andava fuori, dentro nel torrente, perché quello lì era spostato dove c’era la baracca, si usciva dal campo e si andava verso il torrente a fare i lavori.

D: Ma pochi metri oppure era più lontano?

R: No, era un pochino lontano, non tanto ma era sulla costa, dopo le gallerie praticamente.

D: Sulla costa?

R: Sì, diciamo così.

D: Un po’ sul pendio?

R: Ecco, sul pendio.

D: E quindi per lavorare scendevate nel torrente?

R: Scendevamo dentro nel torrente

D: Dicevi le gallerie, queste gallerie qui, ci lavoravano altri deportati, nelle gallerie

R: Non lo so.

D: Nelle gallerie, tu non sei mai entrato?

R: No, noi eravamo lì a fare quei lavori lì ma non so se funzionavano già o meno perché praticamente, cosa avevano fatto; io ho visto, così passando, non che son andato dentro; da una parte delle gallerie avevano piantato i macchinari mentre dall’altra c’era la possibilità, con i camion, di portare avanti e indietro il materiale.

D: E’ come se avessero allestito un’officina dentro nelle gallerie?

R: Su un fianco della galleria avevano istituito delle gallerie, delle officine.

D: Però tu dentro non sei mai andato quindi non sai.

R: Mai, perché noi, no, no…

D: Hai visto movimenti, cosa facevano?

R: No, no.

D: Voi eravate addetti alle pietre e basta, e siete riusciti a fare quello sbancamento, quel filtro lì, quel depuratore?

R: Ormai ci han mandati lì perché in Germania o meglio in Austria non siamo più potuti andare per i bombardamenti, che si sentivano. Al Brennero tremava tutto, sembrava il terremoto perché i bombardamenti gli ultimi momenti erano intensi e allora per forza non han finito di fare i lavori che dovevano fare.

D: Dicevi che eravate in cinquanta in questa baracca?

R: Sì, una cinquantina.

D: Quindi più o meno vi conoscevate uno con l’altro? Eravate tutti, che ne so, tutti lombardi oppure c’erano anche altri ragazzi di altre regioni, più anziani di voi?

R: Sì, sì ce ne erano, parecchi anche perché dentro nel campo quando si faceva la famosa ginnastica: cappelli su, cappelli giù, si facevano su, giù, le flessione e così via, c’era qualcuno, gli anziani che cadevano, allora nervate, perché pretendevano l’impossibile da quei poveretti lì.

D: E comunque eravate tutti italiani?

R: No, io il viaggio l’ ho fatto anche con un russo che veniva da Torino, che aveva una cancrena al braccio, dopo non l’ho visto più, era un ingegnere lui mi diceva; parlava bene l’italiano e poi non l’ho visto più, mi ricordo benissimo di questo sovietico.

D: Ma lì nel campo della Val Sarentino c’era questo russo? Lì nel campo, in questa baracca di cinquanta persone più o meno, c’erano anche degli stranieri come prigionieri o eravate tutti italiani?

R: No, che mi ricordo eravamo tutti italiani.

D: E quanti erano i tedeschi che vi facevano la guardia, circa?

R: La guardia al campo?

D: Sì, a voi, Val Sarentino?

R: In Val Sarentino, in Val Sarentino c’erano poche persone, saranno state una decina sì e no.

D: Ma avevate un filo spinato intorno alla baracca?

R: Sì. Sì era cintato, era cintato; dentro in baracca, come ho detto, l’han messo là al palo; quello là era cintato ma non proprio contro, tanto è vero che come sono uscito da lì, incosciente dicevo di essere, chissà dove erano loro.

D: Ascolta Mario, nel periodo che tu sei stato a Bolzano o in Val Sarentino, sei riuscito a scrivere a casa o a ricevere delle lettere da casa

R: Mai.

D: O un pacco, qualcosa?

R: Il pacco l’ ho ricevuto da mio papà, dentro nel campo a Bolzano, ma del resto, tant’è vero che sul documento, sulle lettere: Come mai gli altri scrivono e tu non scrivi? Perché io non ho mai avuto la possibilità di scrivere e così via…

D: E questo pacco il tuo babbo come ha fatto a mandartelo su?

R: Tramite una; è stato all’ultimo momento che ha dovuto preparare tutto ‘sto pacco perché è venuto a sapere; ormai lì si facevano passare la parola i famigliari, che il giorno successivo sarebbe partito il camion per Bolzano, il camion della Falck e allora praticamente preparavano i pacchi e li portavano su.

Perché noi sapevamo, eravamo avvisati che se si riusciva a scappare, si doveva andare alla Falck, dove praticamente eravamo salvi.

D: Ascolta, la Liberazione come te la ricordi?

R: La Liberazione. Ero in Val Sarentino, al mattino sono venuti a chiederci di andar su ad aiutare i tedeschi perché c’era stato un bombardamento, c’era un distaccamento tedesco su in alto, verso Vipiteno; di andar su ad aiutare a a recuperare i morti di ‘sto bombardamento; io me ne vado a casa. Allora ci han portato in centro, ci hanno dato un piccolo lascia passare che si veniva dal campo di Bolzano, un documento che diceva che noi eravamo arrivati a casa, ci avevano liberati.

D: Questo lascia passare ve l’ hanno consegnato nel campo, cioè vi hanno riportati al Lager di Bolzano, vi hanno dato il lascia passare oppure …

R: No, mi sembra al Lager, mi sembra che me l’abbiano dato al Lager.

D: Quindi siete ritornati al campo, vi hanno dato il documento.

R: Il documento perché ormai là non c’era più nessuno in pratica.

D: E questo che giorno è stato?

R: Il primo maggio del ’45.

D: E tutti e cinquanta vi hanno portato giù, dalla Val Sarentino, dal campo?

R: Sì, sì

D: Vi han portato giù al campo di Bolzano?

R: E dopo ci han dato il documento per la Liberazione.

D: E tu cosa hai fatto?

R: E io ho preso il documento e fatto la prima tappa con una coperta, perché tra l’altro c’era brutto tempo, la prima tappa Bolzano-Trento, a piedi, sì, a piedi.

Ma c’erano quelli che avevano anche le carriole, a Trento, dopo da Trento…

D: Scusa, scusa Mario, sempre con la tuta?

R: Sempre, sempre, fino a casa. Particolare della tuta, son arrivato a casa, ne abbiam parlato proprio ieri con mio fratello, allora c’era lì a casa il Bianchi perché stava lì da me, da noi in cortile, mi ha visto ed è andato a chiamare mia mamma. No, non entro in casa: preparami un bel mastello, allora si diceva così, per lasciar fuori la tuta da casa, perché ero pieno di pidocchi. Ecco, la cosa è stata così.

D: Però hai fatto da Bolzano a Trento a piedi, da solo, eri da solo?

R: No, non eravamo in tanti ma eravamo sette o otto. Dopo di lì abbiam fatto, non Rovereto ma siam andati su mi sembra verso l’Adamello e lì avevamo trovato dei partigiani, su, e nelle case lì ci offrivano le sigarette perché avevano le case piene di sacchi di sigarette perché avevano svaligiato la manifattura di Rovereto.

Dopo, da lì, siamo scesi, ed abbiam trovato gli americani appostati nella vallata perché non erano ancora venuti su. Da lì dopo siamo scesi a Torbole; Torbole, lì in una stalla ci han dato la polenta, un po’ da mangiare, quel poco che avevano anche loro, e abbiam passato la notte.

Al mattino ci hanno traghettato verso Limone, da Limone allora, pian pian Gargnano, a piedi, Gargnano, dopo siam arrivati a Brescia, praticamente ci abbiam messo nove giorni ad arrivare a casa, a Loreto, perché a Brescia abbiam trovato un camion, Serrughetti è andato a finire con un altro camion a Bergamo, invece a me mi hanno portato fino a Loreto e da Loreto altra passeggiata fino a casa.

D: A Monza a piedi?

R: A Monza e a piedi.

D: E hai portato a casa, dal campo, la tuta?

R: Tuta, il numero.

D: Il triangolo, il tuo numero e poi il cappello?

R: No, no il cappello non lo avevamo.

D: Il lasciapassare?

R: Lasciapassare che poi dopo, non mi ricordo più, forse l’ho adoperato per il …

D: Vitalizio?

R: Riconoscimento; vitalizio no, troppo problema, per la qualifica di partigiano, tutti quei documenti…

D: E l’hai spedito?

R: Spedito, allora mi han mandato.

D: E non ti è più ritornato?

R: No, i documenti sono rimasti tutti a Roma. Quello che mi è rimasto è la faccenda del vitalizio, lì è stato, prima di tutto c’era l’Angelo.

D: Signorelli

R: Signorelli, che continuava a dirmi, e Zilli che lavorava insieme, Fai la domanda, fai la domanda, fai la domanda; mai fatta, proprio perché ero disgustato in una maniera, per tutto quello che è successo dopo la Liberazione e allora l’ ho fatta dopo dieci anni circa. Poi è sorto il problema che il mio nome risultava con una t sola e lì praticamente ho fatto l’autocertificazione, gli ho mandato tutto, anche se nel foglio immatricolare dell’esercito c’è una t sola e io ho due t.

Allora, ho lì tutti i documenti, risulta il 9643, risulta Scuratti con una t e allora finalmente ho risolto, praticamente dopo un anno, no di più, di più di un anno e ho preso gli arretrati e i famosi 3.800

D: 50%

R: Di quelli che arrivano, il 50% dei famosi 15 milioni

D: Mario…

R: Dimmi.

D: Mentre hai salvato il triangolo e il numero, la tuta ..è bruciata?

R: Non lo so, prova a chiedere a mia madre ma non c’è più

D: Non c’è più la tuta?

R: Non c’è più.

D: Volevamo chiederti una cosa, quando eri a Sarentino, in Val Sarentino in quel campo lì, qualcuno di voi o tu siete riusciti a scrivere a casa, lì era possibile mantenere il contatto con le famiglie, vi sono arrivati dei pacchi oppure solo a Bolzano?

R: A Bolzano soltanto, io quello che ho ricevuto, l’ ho ricevuto soltanto a Bolzano, tanto è vero che ho lì la lettera che ha scritto mio papà, di accompagnamento, di quello che c’era dentro, pane giallo, liebig, varie cose e tre lire che chissà dove sono finite.

D: Ascolta, oltre al gruppo di San Fruttuoso, di Monza che erano su con te in Val Sarentino, ti ricordi qualche altro nome di qualche altro deportato, della Lombardia o anche non della Lombardia?

R: Sì, ho lì i nomi, ce n’era uno di Milano, poi ce n’era un altro di Verona, un altro di Asti.

D: E i nomi?

R: Quelli che eravamo più vicini, diciamo così…

D: I nomi non ti vengono in mente?

R: No, li ho lì scritti, c’è dentro il bigliettino, li ho li scritti.

D: Aspetta, io avrei ancora un paio di domande. Al campo della Val Sarentino, dicevi che c’era una baracca, c’era una baracca con voi dentro, c’era anche una baracca separata per il comando?

R: E sì.

D: Sì?

R: Praticamente, come posso dire, una baracca, una specie di quella che c’era lì dove c’è la Breda.

D: Era stretta e lunga?

R: Sì, lunga, tutta lunga.

D: E invece l’altra com’era?

R: Una baracca lunga in legno. Non mi ricordo, era più staccata, più in su.

D: E c’erano delle altre baracchette o c’erano solo queste due, una per il comando e una per voi, se ti ricordi?

R: Noi eravamo in quella lì, poi non mi ricordo, non vedevo le altre perché lì come si rientrava, basta, chiusi dentro, al mattino si usciva, non c’era la possibilità di girare o che.

D: E il mangiare, a che ora mangiavate e che cosa vi portavano, a Sarentino?

R: Il famoso orzo, quando c’era, un pezzo di pane nero, sembrava sapone, pesante come un accidenti, ma poca roba, allora si manteneva la linea.

D: Avevate la cucina lì nel campo?

R: Non lo so, non lo so perché.

D: E il rancio era uguale mezzogiorno e sera?

R: Quando c’era sì perché per esempio in campo di concentramento ci davano poca roba, tutta brodaglia e un pezzetto di pane nero con un po’ di margarina.

Volevo citare un particolare, nella Pasqua del ’45, l’Arcivescovo di Bressanone ha ottenuto la possibilità di mandarci dentro qualche cosa da mangiare, ci ha mandato un filone di pane bianco, due mele, uova, forse altre cose, non mi ricordo più; siamo stati tutti male, perché le uova, troppo sostanziose, noi non mangiavamo niente, eravamo tutti a correre dove c’era il fossetto, c’era il famoso fossetto dove si andava a lavarsi, dentro nel campo tutti diarrea, diarrea, dissenteria a tutto andare perché eravamo denutriti, lui ha fatto opera di bene però per noi…

D: Questo, l’Arcivescovo di Bressanone?

R: Sì.

D: Ma ve lo hanno detto lì che era stato l’Arcivescovo di Bressanone, da cosa te lo ricordi?

R: Sì sì proprio l’ Arcivescovo di Bressanone.

D: Ma questo quando eri su in Val Sarentino però?

R: No, nel campo di Bolzano.

D: Quando eri giù a Bolzano?

R: Giù a Bolzano ancora, perché la Pasqua è arrivata che ero ancora a Balzano.

D: Eri a Bolzano. Non è che è venuto qualche sacerdote a celebrare messa, dentro nel campo, non te lo ricordi?

R: No, perché a dirti la verità, noi uscivamo, cappelli su, cappelli giù, si rientrava e fino al giorno dopo basta.

D: Ecco, non ti ricordi se nella Pasqua del ’45 è entrato qualcuno a celebrare messa lì nel campo ma a Bolzano questo, non in Val Sarentino?

R: No, non è venuto nessuno lì.

D: Quindi questo pane, queste mele, queste uova; quando tu eri ancora a Bolzano?

R: Bolzano.

D: Non su in Val Sarentino?

R: No, no, no.

D: Perché in Val Sarentino sei stato su quanto tempo?

R: Bisogna guardare il libro.

D: Tu non ti ricordi più o meno?

R: Il libro, le date corrispondono giuste, in base ai documenti che ho io, in base alla prigionia a Monza, la partenza che eravamo in circa 800, che ci han messo su sui vagoni e che ci han tirato giù, è sul famoso libro del Comune di Bolzano.

D: Ho capito. Era il 25 febbraio quando vi hanno caricato sui vagoni per farvi partire, non siete partiti, poi vi han tirato giù, mandati a Val Sarentino e poi alla Pasqua del ’45 tu eri di nuovo nel campo di Bolzano, la Pasqua era nell’aprile del ’45, allora vuol dire che a Sarentino sei rimasto il mese di marzo?

R: Sì, alla fine, praticamente.

D: Un mesetto praticamente?

R: Praticamente era la fine, perché la Liberazione è avvenuta in Val Sarentino.