
Nando Martini
Nato il 28/02/1926 a Noceto (PR)
Intervista del 08/04/2003 a Parma
TDL n. 180 – durata: 11’
Arrestato nell’autunno del 1944 a Parma
Incarcerato a Parma
Deportato nel lager di Bolzano
Liberato nel 1945 a Bolzano
Nota sulla trascrizione della testimonianza:
La trascrizione è integrale e fedele all’originale. Gli interventi del compilatore sono segnalati da parentesi quadre. Per espressioni di difficile interpretazione si segnala l’omissione con la dicitura […]. Alcune ripetizioni ed elementi intercalari in parte non sono stati riportati.
Dunque, mi chiamo Martini Nando, nato il 28/2/1926. Il 28/2/1926.
D: Dove?
R: A Noceto.
D: Allora, adesso ci racconti un attimo quando sei stato arrestato e perché?
R: Sì, va bene.
D: Prego.
R: Ecco. Sono andato dai partigiani, bene, in aprile, nel ‘44, mi sa che sem ‘ndà lì [siamo andati lì, ndr], più o meno. Poi nell’inverno sono tornato a casa perché avevo il papà all’ospedale. Quella notte lì è venuta molta neve. Abitavo in un paese fuori la città, abitavo a Eia, in un paese che loro sanno [ex deportati presenti all’intervista, ndr], e mi son preso su dei panni puliti da portare al papà, la mamma m’aveva dato… Sono andato all’ospedale, a Parma. Quando sono stato all’ospedale, avevo i panni sporchi, li portavo a mia zia in via Cavour, qui a Parma, gli sporchi per averli puliti.
Quando sono stato davanti a UPIM, in via Mazzini, loro sanno dov’è, sa dov’è UPIM? Va bene. Davanti a questo grande negozio UPIM, ho trovato uno… ho visto uno della Brigata Nera, vestito… Via delle Rose… vedo che era il mio amico, che era nei partigiani con me, che lui “sono qui, sono là…” Io credevo che lui fosse stato giù in missione da partigiano, e invece no, era in missione da Brigata Nera! Ha capito? E allora io cercavo… quando ha capito che volevo scappare, lui m’ha preso perché era più forte, m’ha preso, tira fuori la rivoltella e dice: “Dove vai? Vieni con me”.
Mi porta dentro in via Cavestro, dove c’era la Brigata Nera e c’erano anche i tedeschi, le SS. M’ha messo lì e lì m’ha interrogato un ufficiale tedesco. Proprio così come eravamo adesso. Molto gentile, era lì: “Zigarette?”, il tedesco eh. Non fumavo […]. E questo qui non l’ho più visto [l’amico, ndr]. Questo ufficiale vuole sapere i miei amici chi erano, dove abitavano, eccetera. Non ci ho mai parlato. Allora fa: “Io essere capace a parlare…”, farmi parlare me. Ha aperto un armadio,ha tirato fuori una… un affare di cuoio, al ‘m’ha dà tant [strenghi?]! [mi ha dato tante botte, ndr]! M’ha dato ‘na dose… Poi mi ha portato in cantina dove c’erano degli altri, pieno, un odore della Maremma perché…. puoi immaginare! Sono stato lì una quindicina di giorni. E poi di lì per andare a San Francesco, che sarà, al su mia, un chilometro sì e no… l’è mia [non è, ndr] un chilometro, beh fa nient’, vedo una ragazza che volevo che mi vedesse per dire ai miei genitori che m’avevano preso, ha capito? Non mi guarda! Non mi guarda perché… chissà, poverina… non mi guarda.
M’han portato in San Francesco, di lì mi han preso in San Francesco. Di San Francesco… ah no, prima, un momento, ho detto quel che m’ha preso eh… sì vabbè […] Di San Francesco una notte ci han portato via con le corriere, sempre in corriera, a Verona. A Verona. Ho preso tanti bott lì perché mi hanno interrogato, volevano sapere anche loro… Mai parlato. M’han dà una botta con il legno in testa… ho perso… ho perso la parola, mi son trovato in campo di concentramento a Bolzano e mai più parlè. Son stato lì che dopo è finita la guerra e [sono] tornato a casa.
Quando son venuto a casa, mica vero che ho incontrato quel tizio lì? Era nei partigiani di San Pancrazio, in un paese. Lui passa in bicicletta, e allora c’era il brigadiere dei Carabinieri dei partigiani, c’ho detto: “Quello là è quello che mi ha preso”. Lui: “Davvero?” Ci sono corsi indietro, lo han preso e portato indietro. L’han portato in caserma, c’erano i Carabinieri. Ero così, così, magro, c’ho detto: “Guarda in che condizioni…” Beh, gli han dato un sacco di botte e poi l’han mandato in campo di concentramento a Mantova, a Mantova. A Mantova e… […] Quella è la mia vita.
D: Nando, sì ho capito. Tu l’hai fatta a tuo modo, l’hai fatta… bello ristretto il succo…
R: Sì, ristretto, perché cosa devo dire, il campo di concentramento è stato…
D: Ascolta una cosa…
R: Dica.
D: Quando tu eri dentro nel campo di Bolzano, cosa ti ricordi tu del campo? Il tuo blocco te lo ricordi?
R: Il D.
D: Il numero te lo ricordi?
R: Sì, novemila… novemila e quattrocento ventisei [9426]. Ci han vestito… sì, come ha detto Cantoni, con quel camicione bianco e la striscia rossa di dietro lì. Il numero qua [segna il suo petto a sinistra, ndr], novemila e quattrocento ventisei, quello era il numero di matricola.
D: Nel tuo periodo nel campo di Bolzano sei stato impiegato in qualche lavoro?
R: Ecco, quando sono venuti a vedere, chi dice “il falegname, il fabbro”, eccetera, “il falegname?”, e ho detto di sì, ma non savevi mia… non sapevo neanche com’era fatto il martello. M’avevan messo dalle donne a aggiustare i castelli, sa dove si dormiva sopra? Ecco, lì.
Quella era la nostra vita, però non eravamo liberi come diceva Cantoni. Io, sempre dentro.
D: Cioè?
R: Sì perché a far quel lavoro lì dentro, nel blocco.
D: Ah quel lavoro lì lo facevate nel blocco?
R: Nel blocco, sì, e basta. Non è che andavamo fuori.
D: Cioè, tu non sei mai uscito?
R: No, mai uscito dal campo di concentramento. No.
D: Ti ricordi quando… nel periodo che cui tu sei stato dentro a Bolzano, se hai visto delle donne?
R: Oh, ce n’erano delle donne! È ben lì che avevamo… andavo ad aggiustare i castelli delle donne, capito? A mettere i chiodi […]
D: Ti ricordi di aver visto dei bambini?
R: Oh, c’erano dei bambini, poverini, ma piccoli! Ho visto anche quando han portato via i bambini dalle mamme. Che era venuta una corriera che voleva i bambini, e c’era la Croce Rossa, dicevano che la Croce Rossa svizzera che li portava via… Ci mettevano medaglie al collo, […], un dispiaser compagn mai visto al mondo [un dispiacere simile non l’ho mai visto al mondo, ndr].
D: Ti ricordi se hai visto dei religiosi, dei sacerdoti?
R: Sì, ce n’era uno. Dentro in campo ce n’era uno. Ce n’era uno, c’era, sì sì. Era un frate, era un prete, era qualcosa del genar [genere, ndr].
D: Ti ricordi il nome?
R: No, guarda, no. Non mi ricordo niente. Ho perso la memoria, ma molto anche. Molto, eh…
D: Ascolta, e ti ricordi, di quando tu sei rimasto nel campo di Bolzano, se hai visto o hai subito azioni violente?
R: Sì, chi c’era? Sacchetti, quel del Guzzi di Parma. Il rappresentante della Guzzi, di Parma, si chiamava Sacchetti. [scambio con un ex deportato presente, ndr]. Ah, un’altra cosa. Dentro il campo io…
D: Cosa ha fatto questo qua?
R: Ecco, io l’ho visto che aveva rubato un orologio a un tedesco […], i g’han dà tanti bott’ della madosca. L’avevano legato al palo […]. Ma stavo dicendo prima un’altra roba. Uno che m’ha portato via il pane a me… Sa che davan’ quel pane… Pane … l’era […], l’avevo nascosto sotto al pagliericcio che l’era pien de pioch [dove era pieno di pidocchi, ndr] e lui poverino me l’ha rubato e l’ha mangiato. Il tedesco ha saputo […] che lui m’ha portato via il pane: g’ha piantè ‘n pugn’ [gli ha dato un pugno!, ndr], e poi un secchio d’acqua fredda addosso, che l’era un frèd de la madòna… Non l’ho più visto. Non ho più saputo che vita l’ha fat’.
Un’altra roba ricordo, che forse loro… ce n’era uno cieco, te lo ricordi quel cieco? Quello vorrei vederlo, poverino. [suggeriscono i presenti, ndr]) Morello, de La Spezia, era cieco poverino. Vorrei vederlo ancora.
D: Cosa ti ricordi di lui?
R: Di quello lì? Che gli è venuta la vista, [interviene un ex deportato, ndr], non che ci vedeva bene, l’ombra… però l’ombra… Che bei ricordi.
D: Ah, erano bei ricordi?
R: Sì.
D: Ascolta, tu nel periodo che sei rimasto lì, a Bolzano, hai potuto scrivere a casa?
R: No, ma neanca [neanche, ndr] Scrivere a casa? [ride, ndr], no […] Mai usciti, mai usciti, mai. A scrivere, ìn g’avem’ neanca […] la penna, allora! [non avevamo nemmeno una penna, ndr]. Niente, noi eravamo lì i più terribili, perché eravamo prigionieri politici, i partigiani g’avemo [condanna] a morte. Avevamo il triangolo rosso, e giallo gli ebrei, eh? Erano lì vicino.
D: Come ti ricordi la liberazione di Bolzano?
R: La liberazione di Bolzano? Niente, noi siamo andati a Trento, dove eravamo?
D: Una bella mattina cosa ti hanno detto? Voi siete liberi?
R: Mah “voi siete liberi, se fòra” [si rivolge ai presenti, ndr]
D: Non te lo ricordi?
R: So che son stato a dormire in un casolare, cos’era? Ah, non era mica un casolare, l’era un casott, l’era, che poi c’erano i tedeschi che ci [volevano] ammazzèr, nella notte. Pensa, ci siamo incontrati, loro erano armati e ci volevano uccidere. […] Eh, va bene.
D: La formazione partigiana tua come si chiamava?
R: Trent… Garibaldi. [poi suggeriscono, ndr] Trentunesima Garibaldi.
D: E come zona di operazioni quale era?
R: A Varsi. Varsi, Bardi, da quelle parti lì.
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