Montefiori Aldo

Aldo Montefiori

Nato il 03.04.1921 a Valeriano (SP)

Intervista del: 07.06.2000 a La Spezia realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 121 – durata: 25′ circa

Arresto: luglio 1944

Carcerazione: a La Spezia a Villa Andreini, a Genova al carcere Marassi.

Deportazione: Bolzano

Liberazione: 29 aprile 1945 a Bolzano

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

R: Io mi chiamo Montefiori Aldo, nato il 03.04.1921 a Valeriano di La Spezia. Ero un ex militare di marina. L’8 settembre sbandato mi sono ritirato al mio paese, a casa. Ad un certo momento hanno attaccato dei manifesti: “O con noi o contro di noi”, di ripresentarsi di nuovo a militare. Se non che una ristretta compagnia, compreso un mio caro amico, Ameglio, che poi divenne comandante della Giustizia e Libertà, abbiamo deciso di non presentarci più sotto alle armi dell’esercito della repubblica. Allora abbiamo deciso di allontanarci e andare ai monti.

Se non che dopo un lungo lavoro io, il sottoscritto, venne arrestato nello stesso paese verso i primi di luglio 1944. Mi prendono, un certo Oreglio Gallo, che allora era una persona forte in quell’ambiente, molto cattivo, e un maresciallo della Feld/gendarmeria, è un certo Vacarezza di La Spezia. Mi portano alle carceri di Villa Andreini a La Spezia, in cui sono stato imputato di avere partecipato nelle zone partigiane, aver portato su dei ragazzi, ecc. Insieme a me hanno arrestato, che è tuttora la mia presidente, Paganini, sua mamma, sua sorella, suo fratello, un po’ quasi tutta la famiglia.

Lì hanno fatto un po’ l’interrogatorio a tutti. A un certo momento dopo una settimana, dieci giorni, una buona parte, compreso la Paganini, sono partiti per Marassi di Genova, per andare a Genova e io e altri due o tre siamo rimasti a Villa Andreini. Se non che la Paganini e altri, a quanto abbiamo saputo dopo la Liberazione, era stata attaccata dai partigiani e di conseguenza a noi a Genova per via terra non ci hanno più portato. Lì ho dovuto subire oltre tre mesi di carcere a Villa Anfreini.

Dopo tre mesi circa mi prendono e mi portano insieme con quelli che erano presi da poco tempo, cioè il famoso campo di concentramento di Ventunesimo. Ci hanno portato a San Bartolomeo in un cantiere navale, ci hanno trasferito al carcere di Genova. Quando sono stato nel carcere di Genova, eravamo in tanti, centinaia che siamo stati lì, hanno fatto una scelta: questi qua che siamo.

E hanno tirato fuori nomi, venti, quelli che avevano vent’anni, i giovani. Io mi sono fatto fuori, avevo vent’anni. Mi hanno messo a fare lo scopino. Da una parte cercavano i barbieri per fare la barba, hanno cercato il barbiere, hanno cercato i falegnami per fare le casse da morto, elettricisti. Io in qualità di scopino ritengo di essere stato un po’ fortunato, in quanto ho avuto la possibilità di camminare di più nei corridoi e ho avuto la fortuna anche di conoscere tutti i miei compagni di cella, di Migliarina, di La Spezia e tutto quanto, dei preti. Tutto nell’insieme sono stato soddisfatto di avere fatto quello che ho fatto, perché ho cercato di aiutare tutti. Lì dentro ho conosciuto un certo Morelli Vittorio fra tutti questi, che era un sergente, un sottufficiale, ferito ad un braccio già in guerra. Lui mi ha raccontato che era sfollato su vicino al mio paese.

Ci siamo fatti amici, però lui era già interrogato da questo Gallo, ecc. A forza di torture e botte è diventato cieco, non vedeva più. Se non che allora io ho pensato di prendermelo a cuore, di starci più vicino per aiutarlo e ho cominciato dalla biancheria intima, spidocchiare, levare i pidocchi, perché lui non poteva vedere, non poteva farci niente. Dopo essere stato lì, dopo due o tre mesi circa, ci hanno portato al campo di Bolzano.

D: Scusa un attimo, quando tu parli delle carceri di Spezia e delle carceri di Marassi, di Genova, sempre gestite da fascisti?

R: Sempre gestite da tedeschi e fascisti. Tedeschi e fascisti.

D: Tu sei mai stato interrogato?

R: Sì, più volte. Anzi, devo dire questo, che ho subito un interrogatorio a Genova in cui mi hanno accusato di aver partecipato a delle azioni che io assolutamente non ho fatto, perché ero già in galera a La Spezia. Quindi era assurdo che io dovevo fare e sono stato accusato di aver fatto degli attacchi a queste colonne di tedeschi, in quanto io non c’entro.

Gli ho detto: “Ma se ero già sotto di voi, come faccio ad aver fatto queste azioni? E’ impossibile”. Però dopo nei corridoi, dopo i primi interrogatori, incontrai un certo dottor Valenti, che anche lui non aveva confessato perché diceva di no, però a forza di torture e botte è morto.

E’ morto dentro il carcere di Sarzana, dentro al carcere vicino. Ho avuto la sfortuna purtroppo di metterlo dentro la cassa io. Lui prima di morire mi dice: “Guarda di firmare e di’ ai compagni di firmare, perché tanto è meglio firmare tutto quello che dicono, perché altrimenti ti fucilano.

E’ meglio morire fucilati che per la tortura”. Allora io ho sparso la voce, firmate, non dite niente. Abbiamo firmato tutti i verbali, queste condanne a morte, fucilazione non eseguita. Poi ci hanno portato su al campo di Bolzano. Al campo di Bolzano…

D: Scusami se ti interrompo, ma da Genova al campo di Bolzano con cosa sei andato?

R: Con dei pullman, ammanettati uno con l’altro. Abbiamo fatto la tappa nel carcere di San Vittore a Milano, poi siamo arrivati a Bolzano al mattino verso le sei mi sembra, era d’inverno. Lì hanno cominciato a fare le pulizie, hanno tagliato i capelli, hanno messo tutto a posto, queste cose qua. Ci hanno messo al muro e tutto il giorno nudi contro al muro con quel freddo che c’era, con una coperta. Tutti contro il muro e tutti snudati, perché hanno portato a disinfettare i…

D: Ti ricordi che giorno era? O il mese?

R: Più o meno era forse febbraio, non so, verso il mese di febbraio.

D: Ti hanno tolto i tuoi vestiti?

R: Tutti, nudi completamente. Siamo rimasti attaccati ai muri nudi e siamo rimasti là tutto il giorno così. Allora io ero giovane e ho resistito di più, ma qualcuno che era anziano andava anche in terra e non ce la faceva.

Erano pensieri brutti da pensare, anche per questi vecchi che proprio non ce la facevano a stare in piedi e crollavano, andavano in terra. Lì con questo mio amico, questo Morelli che me lo sono preso a cuore, l’avevo sempre vicino a me, ci hanno messo a dormire proprio vicino, a tu per tu.

Ho continuato sempre a dargli quella brodaglia che ci davano e a tenerlo lì, spidocchiarlo, a fare tutte queste cose. Se non che si parlava di queste cose. Venne però un giorno, quasi alla fine, il venerdì Santo. Però correva già la voce, qualche cosa, la Croce Rossa Internazionale, qualche cosa di cambiamento ci doveva essere in questo campo.

Questo mio amico mi dice: “Stai a sentire, c’è un cappellano che vuole fare la comunione domani mattina, io sono cieco, andiamo a fare la comunione”. Gli ho detto: “Stai tranquillo, io vengo con te e facciamo la comunione, domani mattina andiamo a fare la comunione”. Andiamo a fare la comunione, veniamo in blocco e alla sera quest’uomo mi dice: “Quanto pagherei, Aldo, per rivedere un po’, per conoscerti, vederti in faccia e vedere mia madre”. Nella nottata a questo ragazzo è ritornata la vista.

Allora lì c’era un certo professor Pirelli di Milano, c’era un professor Ferrari, che poi è diventato sindaco di Milano, c’era il dottor Campodonico, c’era un altro dottore di specie. Lì hanno fatto un po’ un colloquio, hanno fatto un po’ un consulto tutti insieme, perché gridavano al miracolo. Hanno deciso che c’era questo nervo ottico preso dal sangue che con questa fede, con questa cosa qua si era sciolto e gli era tornata la vista. Questa è la vita. Poi siamo ritornati al campo, a casa.

D: Aldo, ma quando sei arrivato a Bolzano, dopo che vi hanno tenuto in piedi per un giorno nudi, in che blocco ti hanno messo?

R: E, al blocco E, il blocco del triangolo rosso.

D: Avevi un numero di matricola?

R: Sì, adesso mi sembra 942, non mi ricordo bene di preciso. Ce l’ho a casa, ma adesso non mi ricordo bene il numero di matricola.

D: Ascolta, cosa facevate tutto il giorno nel campo?

R: Dentro nel campo assolutamente niente, perché eravamo in attesa per andare giù in Austria. Infatti, lì per due volte hanno tentato di metterci sui vagoni, ci hanno messo sui vagoni. Io ammanettato con questo ragazzo, questo Morelli sui vagoni.

Ci hanno portato sul Brennero per partire, eravamo su di là, se non che sono arrivati poi dei bombardamenti, noi eravamo dentro questi vagoni e tutto quanto. Lì dovevamo fare tutto addosso uno con l’altro, anzi avevamo scelto attraverso il professor Pirelli un angolo per andare a fare le nostre cose.

Figuriamoci questo ragazzo che dovevo farlo attraversare tra le gambe, perché eravamo a testa di pesce uno con l’altro, farlo passare per andare là. Eravamo tutti sporchi da cima a fondo come le cose. Poi non ce l’hanno fatta perché con questi bombardamenti le linee saltavano per aria, ci hanno riportato indietro. Hanno fatto la seconda volta, è successo altrettanto, non ce l’hanno fatta. Poi da lì il campo di Bolzano è passato campo fisso.

Allora al mattino ci portavano a levare le bombe, una parte andava a fare una cosa o l’altra finché è venuta la Liberazione e si viene a casa.

D: Ti ricordi se nel campo c’erano anche delle donne?

R: Sì, era vicino a noi. Nel campo c’erano molte donne. C’era anche una di Spezia, una certa Righetti, c’era la Dora. Poi a parte che era passata, come dico, la mia presidente, sua sorella. Ce n’erano, ce n’erano tante.

D: Ti ricordi quando tu eri nel campo di Bolzano se hai visto anche dei religiosi, dei sacerdoti?

R: Sì, molti. C’era don Scappazzoni, mi sembra, di Carrara, che poi è venuto anche qui a Villa di Tresana a Spezia a fare il parroco. C’era anche quello che ci ha portato per fare la comunione nel nostro blocco, Don Spadoni. Me lo ricordo, perché poi è venuto a trovarci a casa a me e a Bettazzini, ci ha fatto festa, tutto quanto. Una bellissima persona.

D: Ti ricordi se hai visto anche dei bambini, dei ragazzini?

R: Dei bambini li ho visti insieme alle donne, che allattavano anche, allattavano dei bambini, piccoli, molto piccoli. Vicino al blocco nostro c’era il blocco delle donne. Erano piccoli piccoli.

D: Aldo, ti ricordi com’era organizzato il campo?

R: Devo dire la verità, che il campo non l’ho conosciuto bene, perché eravamo sempre fissi dentro a questo blocco E, blocco recintato che non potevamo andare a contatto con gli altri blocchi, se non che poi al mattino venivano i tedeschi e ci portavano a lavorare e riportavano lì.

Quando poi è avvenuto che portavano via, io sono andato via col camion con la roba dentro e il campo l’ho conosciuto ben poco. Per dire la verità ho conosciuto solo quel posto, quel blocco lì, ma il campo non… So che dicevano che c’erano delle officine, che c’erano i falegnami che facevano dei lavori, ma io non le ho viste quelle cose.

D: Ti ricordi se c’era un blocco celle?

R: Sì, c’era anche la Mascagni. Mi ricordo la Mascagni, che era di Bolzano, che era la parte di là. Qualcuno che faceva qualche cosa andava lì, e lì soffrivano ancora molto di più di quello che non si soffriva noi. Il blocco celle sì, c’era.

D: E’ vero che avevate voi dei soldi che valevano per acquistare delle cose all’interno del campo?

R: Noi no, a noi lì dentro davano delle cose qualcosa che avevano di contrabbando, nel campo circolavano queste cose, ma questo blocco che era il blocco del triangolo rosso, era una cosa che qualcuno li poteva avere, ma la maggioranza no. La maggioranza senz’altro no, perché eravamo ristretti, rinchiusi dentro questo reticolato.

D: Tu o altri tuoi compagni di deportazione, quando eravate nel campo di Bolzano, avete potuto scrivere fuori dal campo o ricevere lettere o cartoline o pacchi?

R: Ricevere no, però qualcuno è riuscito o attraverso il treno o qualcuno a spedire delle lettere, qualche cosa che hanno buttato giù o hanno fatto avere qualcosa. Anche lì devo dire che un mio caro amico, un ragazzo di Valeriano, certo Chella Rino, ha scritto, è riuscito, una lettera è arrivata a casa ai suoi familiari. Lì c’era scritto, dice: “Mamma, io sto bene, sto partendo. A Genova Marassi ho incontrato Aldo”, che ero io, “e Aldo mi ha rifornito di materiale d’inverno, delle maglie da mettermi. State tranquilli. Mi ha dato anche dei soldini”. Siccome quando è andato via questo ragazzo da Marassi, io avevo qualche cento lire, non fumavo, non mi servivano a niente, li ho dati a lui. Avevo un po’ di pane perché, come ripeto, a Genova io ero lì, glielo ho dato.

Ero riuscito ad avere delle maglie, degli indumenti, sono andato da questi parroci che ce n’erano una decina di Spezia e si sono levati i loro indumenti, li hanno dati a me per darli a questo ragazzo, perché lo vedevano che era vivo e che era nudo. Di questo devo ringraziare padre Pio, che poverino dalle botte aveva il vestito bianco che era più rosso che bianco. Tutti, li hanno picchiati a morte tutti. Dieci parroci, tutti e dieci dentro nella cella.

D: Ma questo dove, Aldo?

R: A Marassi a Genova. Quando ha scritto questo ragazzo da Bolzano, che ha buttato giù, ha messo appunto che ha incontrato me a Genova e io ritorno indietro e devo dire che a Genova ho fatto questo lavoro a questo ragazzo. Mi sono rivolto a questi preti, a questi qua e loro mi hanno aiutato un po’ per uno, mi hanno fatto un fagotto di roba per dare. E loro continuavano, erano lì e sono rimasti fino alla Liberazione. Però devo dirti che hanno sofferto, sofferto come in un campo di concentramento e forse anche più, perché erano a rischio lì, erano a rischio di morire. Era tutta una cosa così.

D: Aldo, allora, tu dicevi, nel campo di concentramento a Bolzano dopo il tentativo di portarvi nei campi d’Oltralpe vi mandavano fuori a lavorare.

R: Sì.

D: Ti ricordi tu in che posti andavi?

R: No, proprio no. Io so che andavo a levare delle bombe, mi dicevano, durante la ferrovia, durante le cose. Andavamo lì, si levavano le bombe, poi si ritornava alla sera dentro, mattina là. E’ durato un po’, poi basta. Altri li portavano dalle altre parti. Quattro o cinque di qua, quattro o cinque di là, li portavano un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Bolzano poi è diventato un campo fisso e questo campo poi l’hanno destinato ad andare a lavorare, una squadra da una parte e una squadra dall’altra.

D: Ti ricordi qualche SS del campo?

R: Devo dire che ce n’era uno che era fetente, veramente fetente, perché anche lì cappello su, cappello giù. Allora quando entravi, perché bisogna dire la verità, quando entravi nel blocco picchiavano sempre, erano lì coi manganelli e gli ultimi a entrare li picchiavano, sia che facevi presto sia che facevi tardi. Anche lì onestamente parlando, io avevo vent’anni, ero sempre uno dei primi ad infilarmi dentro, non ne prendevo mai.

Ma i vecchi erano sempre quelli che le prendevano, erano sempre i soliti, io mi ricordo. Cappello su, cappello giù, poi tutti dentro e io anche lì un po’ di fortuna ho avuto, perché m’infilavo dentro. Vent’anni allora erano tanti, erano buoni per affrontare quelle cose lì. Però i vecchi no.

D: Tu sei mai stato testimone di atti di violenza?

R: No. Direi di no.

D: Parlo del campo di Bolzano.

R: Sì, sì, sì.

D: I due ucraini, tu li hai conosciuti?

R: Lì li ho conosciuti, erano lì, c’erano, esistevano, ma adesso mi dice…più o meno, esistevano, c’erano, so che picchiavano. Hanno portato lì uno che ha fatto un tentativo di fuga, l’hanno ucciso, ce l’hanno portato lì davanti a noi, ce l’hanno messo lì davanti per farci vedere che non bisogna scappare, tutte queste cose. Se erano di qua o erano di là io non lo posso dire.

D: E quella che chiamavano “la tigre”, tu te la ricordi?

R: La tigre la chiamavano “la Titti” mi sembra di nome, era la segretaria del comandante, Titho, perché lì che comandava era uno della SS tedesca che era Titho. Mi sembra per sentito dire degli ultimi giorni che questa gli faceva un po’ da segretaria e si chiamava Titti. La chiamavano la Titti.

D: Aldo, quando tu andavi fuori a lavorare lì dal campo di Bolzano a spostare macerie o a spostare bombe, cose di questo genere, incontravi dei civili?

R: Sì, però ti guardavano male, o forzatamente o no. Qualcuno cercava anche di buttarti una mela da buttare là, ma pagavano loro, perché i tedeschi picchiavano loro là, quindi rischiavano. Qualcuno c’era, però era così.

D: All’interno del Lager di Bolzano i deportati avevano costituito un gruppo di liberazione, un comitato di liberazione?

R: In fondo, nell’ultimo sì, negli ultimi giorni era subentrato, un po’ c’era questo. Infatti, a me un certo Battolini di La Spezia venne, mi ha dato un tesserino e mi ha nominato capo squadra quando si doveva partire. Perché quando siamo partiti, perché la guerra non era ancora proprio finita, io poi a Trento mi sono arruolato nei partigiani, sono ritornato.

Lui è venuto a casa, Morelli ha camminato là. Io sono andato, invece, di nuovo coi partigiani, sono rimasto lassù. Lì c’era un comitato che aveva da fare anche lì l’avvocato Ducci. A quanto avevo capito che collaborava molto dall’esterno era allora l’ostetrica del Comune di Bolzano, per quanto sentivo dire c’era l’ostetrica del Comune di Bolzano che aiutava e faceva qualche cosa, esisteva. Ma nell’ultimo.

D: Aldo, il momento della Liberazione. Tu dove ti trovavi?

R: Dentro al campo.

D: Cosa è successo?

R: E’ successo che hanno dato un tesserino, una parte sul camion, una parte a piedi. Noi siamo arrivati un po’ col camion, un po’ a piedi, poi ci siamo affacciati in piedi. Io sono arrivato a Trento, a Trento ci hanno portato dentro, io sono andato dentro dai preti. Abbiamo chiesto e loro ci hanno indirizzato bene, perché lì ci hanno arruolato di nuovo coi partigiani. Abbiamo passato sette, otto giorni, la Liberazione di Trento l’abbiamo fatta noi là dentro.

D: Quando tu sei stato liberato da Bolzano? Te lo ricordi?

R: Adesso non mi ricordo la data, tutti insieme non mi ricordo la data.

D: Da chi sei stato liberato? Sono stati i tedeschi a lasciarvi andare?

R: Il campo ha dato un tesserino di viaggio, di uscita dal campo, hanno dato questo e hanno mollato. Poi hanno messo dei camion a disposizione, qualcuno è andato a piedi e ci hanno mollato come pecore, come…

D: Dopo Trento tu sei arrivato a Spezia?

R: Dopo Trento poi a piedi, un po’ un camion, un po’ di qua, un po’ da una parte, un po’ col carro, una cosa e l’altra sono arrivato a Spezia. Alla bell’e meglio sono arrivato a Spezia.