Bellumat Vittore

Vittore Bellumat

Nato a Feltre (BL) il 12.10.1926

Intervista del: 10.08.2000 a Feltre (BL) realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 56 – durata: 19′ circa

Arresto: il 3 ottobre 1944 a Feltre (BL)

Carcerazione: Caserma Zanitelli a Feltre

Deportazione: Bolzano, Vipiteno

Liberazione: il 3 maggio 1945

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

Mi chiamo Vittore Bellumat, sono nato a Feltre il 12 ottobre 1926.

Come ha detto l’intervistato di prima, sono stato preso il 3 ottobre da una pattuglia tedesca, 3 ottobre 1944, qui in Feltre, in occasione di quel famoso rastrellamento cui è stato accennato prima. Portato prima nella Caserma Zanitelli di Feltre e poi al Cinema Italia, dove abbiamo pernottato quella notte; il giorno dopo siamo stati trasportati a Bolzano, con tappa a Grigno, Grigno di Valsugana.

Siamo arrivati a Bolzano tre giorni dopo, perché durante i bombardamenti il treno veniva messo sul binario a fianco, per dare modo agli altri treni di snellire.

Siamo arrivati a Bolzano alla sera, verso alle otto.

Una cosa che mi ricordo sempre è che, penso neanche in trenta secondi, eravamo in centoquattordici, noi di Feltre, e ci hanno allineati con i cani: ci sembrava gente veramente agguerrita militaresca, tanto era il terrore che ci incutevano.

Poi ci hanno portato nel campo di Bolzano e lì è stato un impatto terribile, perché abbiamo visto gli altri già prigionieri da prima, e nella penombra sembravano ancora più brutti.

Il giorno dopo ci hanno dato il numero, il mio numero era 5.014, ci hanno rapato i capelli a zero, consegnato una tuta con il triangolo ed abbiamo cominciato la nostra vita nel campo di concentramento di Bolzano.

Consisteva nella chiamata mattutina, l’appello, il famoso appello, si divertivano a prenderci in giro, cappelli su, cappelli giù, allineati.

Non ci chiamavano più per nome, eravamo solo un numero e guai a chi non rispondeva, magari per un momento di disattenzione, magari si aspettava che chiamassero il nome, invece era il numero e lì erano botte.

Ci portavano poi tutti i giorni a lavorare, uno da una parte, uno dall’altra. Sono stato alla Galleria del Virgolo, sono stato alla Caserma di Gries a lavorare.

Durante i bombardamenti loro si mettevano nei rifugi e noi nella piazza della caserma a lavorare con i bombardamenti sopra.

Ho lavorato, ho scaricato treni, ho lavorato in galleria, tanti lavori pesanti, e dopo i bombardamenti a sgombrare dalle macerie.

Alla sera, quando si rientrava, con quel poco da mangiare, fortuna che fuori qualcuno ci aiutava, si dormiva, non importa se il pagliericcio era misero, un paio di centimetri di trucioli e si dormiva, non c’era bisogno di calmanti, né niente.

D: Vittore, eravate sempre sorvegliati anche quando eravate sul luogo di lavoro?

R: Sì, mi ricordo per esempio al Virgolo: noi lavoravamo solamente all’interno, si caricavano i carrelli e quando si arrivava all’imboccatura c’erano i civili che portavano via il materiale o quello che noi si portava con i carrelli, ce li riconsegnavano e noi si lavorava all’interno.

Alle bocche del Virgolo c’erano le mitragliere e noi eravamo propri assoggettati a loro e basta.

D: Tu nel campo di Bolzano fino a quando sei rimasto?

R: Io sono rimasto… la data precisa non mi ricordo, ma senz’altro fino a febbraio, dopodiché mi hanno trasferito a Vipiteno. Ci hanno trasferiti, perché il campo brulicava ormai. Si sentiva dire che l’ultima spedizione per la Germania fosse stata nel febbraio, non ricordo la data.

Dopodiché hanno cominciato a sfoltire il campo nei campi satelliti, i vari campi satelliti.

So che quando ero ancora a Bolzano sono stato in Val Sarentino a lavorare; si pensava di andare là mentre ci avrebbero preparato il campo. Erano le voci, noi si diceva, di radio bugliolo, le notizie che venivano da fuori, era la famosa radio bugliolo. Abbiamo lavorato in Val Sarentino e poi mi hanno portato, invece, a Vipiteno, che era al confine.

D: Scusa Vittore, prima accennavi di essere stato a lavorare in una caserma a Bolzano.

R: Quella di Gries, mi pare Gries.

D: Cosa facevi in quella caserma?

R: Tutto quello che occorreva, pulizie delle sale, servizi alle stanze degli ufficiali, tutto quello che c’era da fare. Generalmente, però, erano lavori pesanti, come scaricare camion: Partivamo con i camion di munizioni che si portavano al castello vicino a Bolzano, quel famoso castello dei conti Firmian, Castelfirmiano; lì c’era vicino un deposito d’armi e si portavano dentro queste cassette di munizioni.

Ricordo che il passaggio era sconnesso, con queste cassette da oltre cinquanta chili, era tremendo, perché in quattro si doveva scaricare un camion, uno dei lavori che mi ricordo d’aver fatto.

D: E su a Vipiteno?

R: Anche, uguale, eravamo alloggiati in una caserma, che era una caserma ex finanza. A Vipiteno noi eravamo esclusivamente sotto la SS, perché c’era una caserma con oltre, mi dicevano, mille SS a Vipiteno. Perciò potrei dire che quasi quasi stavo peggio lassù che a Bolzano, anche perché lassù nessuno ci aiutava: a Bolzano qualche pagnotta o frutta ecc… si poteva recuperare, a Vipiteno no.

Se si lavorava magari vicino a qualche casa normale si chiedeva a qualcuno: “Per cortesia può andarmi a prendere in farmacia qualcosa?”, io avevo la bronchite. Non capivano ed allora, era gioventù magari, dicevo una parolaccia e si vedeva che avevano capito.

Ho sentito tuttora a Vipiteno, pur essendo zona turistica, che accolgono bene ecc…; ci sono stato l’altro anno, dopo tanti anni ed ho trovato un autista, era una gita. Invece che andare a vedere le miniere, il museo delle miniere e quello che c’era in programma, in due ore di sosta, sono andato via per i paraggi dov’ero ed ho trovato un taxista. Ho visto la macchina: “E’ in servizio?”, “No, dice, era un tedesco dall’accento, ma parlava l’italiano, serve?” “Sì, vorrei andare qua”. Ero vicino alla stazione e mi ha portato là, ho visto la caserma e dico: “Fermo che guardo, chi c’è qui adesso?” “Ci sono i Kosovari” e parlavamo. “Lei conosce i posti”, mi dice, “Sì, ci sono stato parecchi mesi prigioniero!” “Mi ha detto mio padre, con la sua pronuncia, che qui c’erano i banditi”. “Ma che banditi, ho detto io, voi siete gente cattiva!” Ero giovane, ho compiuto diciotto anni nel campo di concentramento ed ho patito, perché quando sono tornato ho fatto otto mesi in ospedale, ho avuto il periodo dello sviluppo proprio nel campo, senza mangiare né niente, avevo una pleurite trascurata e altro, parecchie magagne; ho fatto otto mesi all’ospedale.

D: Ascolta Vittore, ma quando tu eri a Vipiteno, cosa facevi di lavoro?

R: Di lavoro eravamo in una caserma. Per esempio andavamo nelle caserme del luogo a lavorare, nei boschi. Vicino alla nostra caserma stavano facendo un rifugio antiaereo, una galleria, perciò lì avevo lavorato tanto e ci mandavano dentro quasi subito dopo scoppiate le mine di avanzamento. Non ricordo se erano intossicate, io ho sempre tossito, in quel periodo avevo la bronchite cronica e mi è rimasta anche adesso, a dire la verità.

Lavori pesanti veramente, scaricare camion, treni, anche per esempio vicino a Fortezza: ci portavano giù, c’era una caserma, un castello, una polveriera, scaricare munizioni anche lì, tutti lavori che servivano a loro.

D: C’erano anche delle donne in questo campo a Vipiteno?

R: No, nel nostro gruppo no; c’erano le donne, direi le amanti dei comandanti, quelli che ci trattavano veramente male e ci guardavano con disprezzo perché loro erano dall’altra parte.

D: Fino a quando sei rimasto lì?

R: Fino alla fine della guerra. Al 3 maggio, nel pomeriggio, sono arrivati i tedeschi, che erano in ritirata, via via, in mezzora abbiamo dovuto prendere i nostri stracci, so che ho dormito in un vagone in stazione a Vipiteno, perché ci hanno buttato fuori nel pomeriggio, nel tardo pomeriggio.

D: E poi cos’è successo?

R: Poi, non ho avuto la fortuna di Gianni di avere un camioncino, ero giovane, mi hanno preso che ero appena venuto fuori dal collegio, perciò non avevo né esperienza né niente ed ho cominciato a tappe a venire a Feltre. Ci sono voluti cinque giorni e sono arrivato veramente al limite delle forze.

D: Non sei passato dal campo di Bolzano?

R: No, lì c’erano i tedeschi, hanno messo una fascia di servizio ed hanno avuto due o tre tragitti con il treno, da una stazione, da un ponte rotto all’altro ponte rotto. Avevano fatto saltare tutti i ponti ed ho avuto la fortuna di montar su, sono centocessanta mi pare i chilometri da Bolzano a Feltre, ne avrò fatti centoventi a piedi.

D: Scusa, dicevi che vi hanno messo una fascia?

R: No, i tedeschi si erano messi una fascia e facevano un ottimo servizio di smistamento, chi doveva andare in su e chi in giù e tenevano l’ordine. Da quel lato li ho ammirati, pur odiandoli ancora al giorno d’oggi, in quel lato dicevo: “Hanno tenuto loro per liberare la zona”.

D: Ascolta, quando vi hanno detto che eravate liberi, in quanti eravate?

R: Noi qui da Feltre eravamo, nel nostro gruppo, quattordici, poi lassù ce n’erano tanti, passati per il campo di Bolzano provenienti da Sanremo, un gruppo da Sanremo, mi ricordo. Tanti che avevano anche fatto una ricerca per trovare un certo Annibale, non ricordo il nome, che piangeva sempre, quello era più giovane di me, ma piangeva sempre. Mi ricordo d’aver fatto amicizia.

D: Ascolta, Vittore, durante il tuo periodo di deportazione hai potuto scrivere a casa?

R: I primi tempi ci avevano dato il permesso di scrivere a casa ed ho scritto in collegio, perché mia mamma era a Milano, era a balia; mio papà era morto in un incidente di lavoro. La mamma non era a Milano ma vicino a Domodossola, con la famiglia del notaio per cui lei lavorava, dove avevano la casa di montagna; andava al mare, poi in montagna.

Perciò avevano fatto la Repubblica della Val D’Ossola e lei è venuta a saperlo tre mesi dopo che ero prigioniero ed è venuta su con una neve!, quell’anno ne ha fatta tanta di neve, a trovarmi a Vipiteno.

D: Tua mamma è venuta a Vipiteno?

R: Quando ha saputo, con l’autostop ecc…, è capitata su, lei ed un’altra signora di Feltre.

D: E tu sei riuscito a vederla?

R: Ce n’era qualcuno più umano, la caserma era recintata, aveva un ampio recinto. Ci mandavano fuori, eravamo senz’acqua, a prendere l’acqua in paese ed allora l’ho vista: “Mamma, stai lontana!”, poche parole e via.

E’ stata su due o tre giorni e quando è tornata a casa io ho respirato, anche perché non volevo farmi vedere che ero ammalato ed avevo questa bronchite continua e lei soffriva.

D: Quindi sei riuscito a parlarle?

R: Sì.

D: Tu potevi ricevere posta, pacchi?

R: No, a Bolzano ne ho ricevuto qualcuno, lassù mia mamma ha portato un pacco.

Poi c’era una di Feltre che penso andasse d’accordo con uno della SS, un tenente; mi ha portato un paio di pacchi, era una che io conoscevo già, aveva un paio d’anni più di me e mi ha portato i pacchi, so che veniva lì accompagnata con questo tenente della SS e diceva: “Vittorino ti ho portato un pacco, me l’ha dato tua mamma”. Lassù eravamo in mezzo a gente, oltre che la SS, avevamo contro anche la popolazione. Veramente non ho un bel ricordo di Vipiteno.

D: Come chiedevo a Gianni prima, tu ti ricordi di qualche religioso, di qualche sacerdote?

R: Sì a Bolzano, a Vipiteno no.

D: Ricordi quando celebravano?

R: Celebrava la messa, mi ricordo che una volta ha detto anche: “Fate pure la comunione, non occorre la confessione! quando tornerete a casa vi metterete a posto, qui siete tutti liberi con la coscienza di poter fare la comunione” e l’abbiamo fatta, mi ricordo con tanta devozione, un paio di volte.

D: Questo nella piazza del campo?

R: Sì, nella piazza del campo, che era grande.

D: E potevano assistere tutti a queste funzioni?

R: Sì tutti, quelli che non erano nelle celle, perché a Bolzano c’erano anche le celle. C’era un feltrino anche…

D: Ricordi il sacerdote com’era, se era un tipo particolare, giovane, anziano, alto, magro…

R: Statura media quello che diceva la messa, non ricordo bene, perché eravamo una folla, eravamo dall’altare magari anche un po’ lontani, poi la comunione… Ma una persona molto umana, molto simpatica, era prigioniero anche lui.

D: Era un deportato?

R: Sì, io ho letto anche il nome sul libro fatto nella ricorrenza dei trent’anni del Lager di Bolzano; c’è il nome di quel sacerdote.

D: Tu non lo ricordi adesso il nome?

R: No, il nome no.

D: Il tuo triangolo di che colore era?

R: Rosa all’inizio, all’inizio mi avevano dato… l’errore che diceva Gianni prima, all’inizio mi avevano dato il numero 5.514 ed il giorno dopo mi hanno richiamato e mi hanno dato il 5.014, avevano saltato di cinquecento numeri.

Sul libro figuro 5.514, ma ero 5.014.

Poi a Vipiteno dovevamo tenere sempre il triangolo e la tuta ed il freddo, come diceva Gianni per Colle Isarco, il freddo di Vipiteno era tremendo; aveva fatto tanta neve, c’era parecchia aria e non ci si poteva vestire più di tanto ma gli abiti civili non li tolleravano.