Barbieri Agostino

Agostino Barbieri

Nato a Isola della Scala (VR) il 30.03.1915

Intervista del: 20.07.2000 a Sirmione (BS) realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 54 – durata: 44′ circa

Arresto: il 22.11.1944 a Tarmassia (frazione di Isola)

Carcerazione: Scuole Sanmicheli (VR), Palazzo dell’INA (VR)

Deportazione: Bolzano, Mauthausen, Sant Aegid

Liberazione: il 5 maggio 1945

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni.

Sono Agostino Barbieri, sono nato il 30 marzo 1915 ad Isola della Scala in Provincia di Verona. Sono stato arrestato in una frazione di Isola della Scala che si chiama Tarmassia perché facevo parte di una missione militare che aveva lo scopo di fornire informazioni agli eserciti alleati e organizzare gruppi di partigiani.

Sono stato arrestato il 22 novembre 1944 dalle Brigate Nere di Verona con l’ausilio della polizia tedesca perché quando sono venuti ad arrestarmi di notte i fascisti non erano riusciti a portare a termine l’operazione e hanno chiesto l’aiuto della polizia tedesca.

La difficoltà dei fascisti era dovuta al fatto che io e il contadino che mi affittava l’alloggio, perché andavo a dormire solamente da questo contadino, abbiamo reagito al fuoco e c’è stata una sparatoria.

Durante la sparatoria, siccome vicino alla cascina dove io andavo a dormire qualche volta c’era un comando tedesco, sono partiti i tedeschi e hanno completato l’operazione dell’arresto.

Dopo l’arresto siamo stati portati alla Brigata Nera di Verona che allora aveva le carceri della scuola di avviamento Sanmicheli. Siamo stati lì una settimana naturalmente sotto gli interrogatori, i soliti interrogatori a base di botte, di sevizie, di maltrattamenti di ogni genere.

Dopo una settimana siamo stati portati al comando delle SS che aveva la sede nel palazzo delle Assicurazioni in Corso di Porta Nuova a Verona.

Siamo stati lì una settimana, ma non ci sono stati interrogatori. Dopo una settimana di detenzione in questo carcere, siamo stati portati al campo di Bolzano.

D: Un attimo, signor Agostino, quando Lei parlava di organizzazione, cos’era? Militare, si ricorda come si chiamava.

R: Sì, la Missione Rye.

D : Ma lì com’era organizzata questa Missione Rye. Innanzi tutto si ricorda il significato di Rye?

R: A dir la verità Rye è una sigla, deriva dal greco, non ho mai chiesto il perché, la ragione. Era una sigla che si davano tutte le organizzazioni clandestine, specie quelle militari. Ogni missione aveva una sigla che derivava o dall’alfabeto greco o latino o da altri generi di letteratura, di idiomi.

D: E come eravate organizzati? Il reclutamento per esempio come avveniva?

R: Il reclutamento da parte mia per quanto mi riguarda è avvenuto perché io avevo fatto il servizio militare di prima nomina come ufficiale al 79° Reggimento Fanteria e il comandante della Missione, il professor Teruzzi, aveva fatto il servizio militare con me nel 79° Fanteria, perciò mi conosceva.

Mi ha fatto avvicinare tramite due ragazzi, i fratelli Corlà, che erano ragazzi che seguivano l’Azione Cattolica perché Teruzzi era stato anche Presidente dell’Azione Cattolica a Verona.

Loro mi conoscevano, non perché io fossi dell’Azione Cattolica. Io non ero niente. Io ero lì, stavo a Isola della Scala dopo aver fatto però una certa attività col Comitato di Liberazione dell’Alta Italia per la messa in salvo dei prigionieri alleati che sono stati sorpresi dall’ armistizio. Era un primo impegno che aveva preso il Comitato di Liberazione.

Finita questa operazione che si faceva portandoli col treno da Venezia a Milano, poi a Milano io li davo in consegna ad altri compagni che li portavano al confine svizzero, finita questa operazione perché a un certo momento l’organizzazione era polizia fascista che si era organizzata, perciò non era più possibile farli viaggiare in treno, mi sono ritirato a Isola della Scala dove vivevo, avevo mia madre, mio fratello.

Lì sono stato raggiunto da uno di questi fratelli Corlà, mi ha parlato della Missione, mi ha parlato di Teruzzi e compagnia bella e allora abbiamo cominciato ad operare in quella zona.

Io ho avuto la responsabilità di una vasta zona del basso veronese, poi ho avuto il comando di un battaglione di partigiani.

D: Un’altra cosa sempre a proposito della Rye. La zona operativa della Rye dov’era? A Verona solo o anche in provincia?

R: Verona e tutta la provincia e anche confinava per una certa parte della Provincia di Vicenza. La provincia era divisa in zone. Ogni zona aveva un comandante. Io avevo il comando della zona della pianura insomma.

Altri ufficiali come il Colonnello De Miglio per esempio che era stato Capo Aiutante Maggiore al 79° Reggimento Fanteria dove io avevo fatto servizio, che conoscevo, il suo comando era a Cologna Veneta. Io l’avevo stabilito invece a Tarmassia, nella canonica di Tarmassia. Perché nella canonica?

Prima di tutto perché il comandante della Missione, come ho detto, faceva parte dell’Azione Cattolica, era molto dentro in quest’ambiente. Lui aveva la radiotrasmittente, ricetrasmittente che collocava sempre o nei seminari, o nei conventi, insomma in zone che almeno sembravano sicure.

Ho avuto una grande collaborazione dal parroco di Tarmassia, il quale s’è dimostrato partigiano veramente attivissimo. Ha lavorato moltissimo con me, mi ha dato molto aiuto.

Abbiamo ospitato lì in canonica un corso per l’addestramento all’uso dell’esplosivo plastico che noi non conoscevamo, né io come ufficiale di Fanteria, né nessuno dei fratelli Corlà che era appena stato nominato ufficiale, ma che aveva appena abbandonato il servizio.

Teruzzi, il comandante, ci ha mandato un esperto in esplosivi, che aveva fatto catapultare dall’alto, venendo dall’Italia già liberata. Abbiamo fatto questo corso. Durante questo corso siamo stati arrestati.

Per fortuna non durante la “lezione”, ma in quel periodo, perciò non abbiamo potuto completare l’istruzione e attuare quel programma che doveva essere attuato di sabotaggio.

D: Se si ricorda, la maggior parte dei componenti eravate tutti militari della Rye?

R: No, no.

D: No?

R: No, no. C’era una rappresentanza direi di tutte le parti politiche. Non c’era la prevalenza dei militari. Anche Teruzzi era militare di complemento, non era un ufficiale effettivo. Io ero un ufficiale di complemento, Corlà era un ufficiale di complemento.

D: L’obiettivo, i compiti di questa missione speciale della Rye qual era?

R: I compiti erano quelli di segnare, indicare gli obiettivi militari in questo modo. Se si formava per esempio, un comando oppure un deposito, oppure un’officina, oppure soprattutto il controllo della ferrovia Verona/Bologna che era la dorsale che portava tutti i rifornimenti sul fronte di Bologna e io avevo il controllo da Verona fino ai ponti di Ostiglia.

Ho avuto una grandissima collaborazione anche, perché avevo mio fratello ferroviere, dai ferrovieri. I ferrovieri hanno partecipato in un modo veramente entusiasta. Io dai capistazione sapevo esattamente tutto quello che trasportavano.

D: I diversi movimenti di truppe, materiali?

R: Esattamente. Deviazioni che facevano i treni perché per esempio partivano, ma poi ad un certo momento li facevano deviare. C’era tutto questo movimento a mia conoscenza. Di tutto questo movimento era perfettamente al corrente.

D: Voi avevate quindi rapporti anche con gli angloamericani?

R: I rapporti con gli angloamericani venivano fatti direttamente dal comandante.

D: Avevate un tesserino, qualcosa?

R: No, nessuna tessera.

D: Anonimato.

R: Nessuna tessera per carità. Le tessere… Niente, io avevo dei documenti falsi perché allora c’era il coprifuoco ed era proibito circolare col coprifuoco. Tramite mia moglie, mia moglie lavorava in un’agenzia di esportazioni di frutta e verdura e per avere i permessi per mandare la frutta e la verdura in Germania doveva andare al comando tedesco.

Al comando tedesco ha conosciuto un ufficiale che era ufficiale con me al 79° Fanteria che era passato ai tedeschi. Tramite lui abbiamo avuto quasi tutti i documenti per me e anche per tutti quelli che operavano con me di essere operatori della Todt, allora c’era quella compagnia per reclutare lavoratori e il permesso di circolare di notte.

E infatti una notte sono stato fermato dalla Brigata Nera, anzi da una pattuglia di tedeschi, ho fatto vedere il documento, loro mi hanno detto: “Bravo, bravo Italiano”.

D: Durante gli interrogatori però è uscita questa vostra partecipazione nella Rye?

R: No. Non è uscita perché se fosse uscita per noi ci sarebbe stata la fucilazione, perché è chiaro, è la legge di guerra, che chi opera a livello di spionaggio, specialmente per un ufficiale in borghese, c’è la fucilazione. Non è uscito nulla, per fortuna.

D: Ancora una cosa della Rye perché è un gruppo importante. Grosso modo eravate in molti voi della Rye?

R: Ma, io avevo direttamente quattro o cinque collaboratori. Poi siccome si lavorava a scompartimenti stagni perché c’era l’obbligo preciso, non lo so. Ad un certo momento l’ho saputo dopo la Liberazione, quando sono tornato da Mauthausen ho conosciuto altri collaboratori che prima non conoscevo, non avevo conosciuto.

D: Quindi dal Palazzo dell’INA, riprendiamo la narrazione, dal palazzo dell’INA dov’è stato portato, da lì al campo di Bolzano.

R: Sì.

D: Eravate in molti su quel trasporto?

R: No, eravamo una decina per quanto mi ricordo. Poi sono stato molto poco al campo di concentramento, intanto mi avevano messo in un capannone di pericolosi non so per quale ragione, si vede che mi hanno ritenuto pericoloso.

Verso Santa Lucia mi sembra, prima di Natale sicuramente perché Natale l’ho passato a Mauthausen, sono stato trasportato a Mauthausen.

D: Dal campo di Bolzano vi hanno portato dove per infilarvi nei vagoni, nei carri bestiame?

R: Alla stazione, penso io. Siamo andati alla stazione, ci hanno messo sui carri bestiame, hanno sigillato i carri, poi siamo partiti. E’ durato sei o sette giorni questo viaggio, una roba bestiale.

D: Più o meno in quanti eravate su quel trasporto?

R: Forse una quarantina.

D: Per vagone però, quaranta per vagone.

R: Sì, per vagone. Si doveva defecare, urinare tutto lì, sedersi sullo sterco, una cosa spaventosa. Poi c’era il problema della sete. Il problema della sete gravissimo. C’è stata gente, i vicini alla parete del vagone che leccavano il piccolo ghiaccio che si formava dall’umidità e dal freddo esterno finché avevano la lingua rossa di sangue, perché la sete è stata una sofferenza atroce veramente.

D: A Bolzano non l’hanno immatricolata?

R: Quello non lo so. Non ho capito niente, mi hanno sbattuto entro questo stanzone e non sono più uscito. Mi hanno detto che non si poteva uscire perché eravamo pericolosi. Non so perché ero pericoloso. Non l’ho ancora capito.

Lì ho incontrato quello che è diventato il mio più grande amico: Piero Caleppi, Piero Caleppi che poi è diventato senatore, poi è diventato vice presidente del Senato e sotto segretario di Stato.

E’ nata questa amicizia che è durata fino al giorno della sua morte.

D: E altre persone di cui si ricorda? Che ha incontrato lì nel campo di Bolzano?

R: Nel campo di Bolzano non ricordo, non ho praticamente nessun ricordo particolare perché ero così attaccato a Caleppi. Lui era già dentro, praticamente chiamiamolo “anziano”. Io dormivo in una cuccetta, lui dormiva in una cuccetta attaccata alla mia, stavamo sempre assieme. Non ricordo altri personaggi, amicizie.

Poi più avanti ho conosciuto Pappalettera, Pappalettera che ha scritto quel bellissimo libro “Tu passerai per il camino”.

D: Si ricorda se c’erano dei religiosi anche?

R: Di religiosi ho conosciuto ma a Mauthausen, adesso mi sfugge il nome, Padre Gaggero, un filippino arrestato a Genova, un grande sacerdote che poi è stato spretato dopo la Liberazione.

Adesso invece è nata una storia in questo periodo. Io parlavo prima dei fratelli Corlà che sono stati arrestati. Ad Isola della Scala il paese della loro nascita s’è formato un comitato per la beatificazione. Erano due ragazzi molto, molto, molto religiosi. Dicono che hanno con la loro azione, con il loro comportamento, con la loro parola, con la loro convinzione hanno convinto l’avvocato Spaziani che era il Capo del Comitato di Liberazione di Isola a convertirsi. Sembra.

Però c’è una dichiarazione che io ritengo molto… che questa conversione sia avvenuta nel campo di concentramento di Bolzano. Quello che è stato scritto, è stato dichiarato che a Bolzano ha potuto assistere alla Santa Messa e fare la comunione.

Io ho chiesto, so anche la risposta vostra, a Bolzano se era possibile questo durante la detenzione, se c’erano servizi religiosi, questo è il punto interrogativo. A me non risulta, però non posso escluderlo, perché io ero dentro in questo baraccone, non potevo uscire, neanche prendere l’aria, perciò non so niente di quello che è successo.

Che ci siano state delle messe io non lo ricordo, perché non credo che i tedeschi… Non so, questo è un problema che non è ancora risolto.

D: Dopo sette giorni di viaggio e relative notti siete arrivati a Mauthausen.

R: Sì.

D: Come si ricorda l’ingresso nel Lager di Mauthausen?

R: Siamo scesi dal treno naturalmente nelle condizioni in cui eravamo, ci hanno inquadrati perché dalla stazione a Mauthausen c’era un pezzo di strada in salita anche che bisognava percorrere a piedi naturalmente.

Quando siamo arrivati lì il comandante del campo ha chiesto se c’era qualcuno che sapeva l’italiano. E’ venuto fuori uno, ha fatto l’interprete. Siete a Mauthausen, qui esiste solo la legge dell’obbedienza, perciò chi vuol tentare di fuggire, si guardi attorno e vedrà che non c’è nessuna possibilità. Bisogna solo tacere e obbedire.

Ci hanno portati dentro in un enorme stanzone. Ho fatto un bagno bollente e immediatamente dopo un bagno freddo secondo le regole perfette dell’igiene.

Poi ci hanno messi fuori sei minuti nudi, tagliato tutto, rasati sotto, sopra tant’è vero che io scrivo sul mio libro che io ho avuto la sensazione che mi tagliassero via tutto quando il Friseur prese in mano il pene. Qui resto senza niente.

Poi ci hanno messo fuori in fila ad aspettare. Intanto nevicava e noi fuori ad aspettare. S’è completata la fila, poi ci hanno portato nelle baracche di quarantena dove si dormiva in tre, qualche volta anche in quattro su un materasso a terra.

Ci mettemmo giù di fianco, la SS col tubo di gomma ci batteva finché ci si stringeva, imballati come le sardine. Lì abbiamo fatto parecchi giorni.

Poi facemmo dei comandi per andare a lavorare. Io, Caletti, Pappalettera, ho conosciuto una persona, vive ancora, purtroppo stavo dicendo perché è molto ammalato, il Dottor Calore. Non so se voi l’avete…

Il Dottor Calore per me è un dio, un bravo, bravissimo… S’è comportato veramente, abbiamo stretto un’amicizia e mi dispiace moltissimo che stia veramente male, molto male. L’ho visto un paio di mesi fa.

Lì ho conosciuto il Dottor Calore e Pappalettera. Siamo andati a Sant Aegid, nella Stiria, è un paesino bello anche, molto bello perché uscire di notte per andare a fare la pipì e vedere queste casette dove filtrava qualche piccola luce pur essendoci la proibizione dell’illuminazione, sembrava di essere in un presepio.

Io lo scrivo questo anche nel mio libro. Ti riempiva di nostalgia, di casa. Purtroppo c’era la baracca dietro, c’era la SS, ma più che le SS c’era il Kapò. I Kapò erano forse peggio delle SS, erano peggio delle SS. I Kapò tremendi.

Hanno fatto poi una brutta fine perché il giorno della Liberazione il 5 maggio sono stati malmenati, sputacchiati, qualcuno ci ha rimesso anche la pelle. Insomma, se lo meritavano.

D: Prima di andare però al comando di lavoro lì a Mauthausen vi hanno immatricolati?

R: Sì, mi hanno dato una nastrina con del filo di ferro che ho perso perché l’ho data ad una mostra e non me l’hanno più restituita. Se la son tenuta a Verona. Hanno fatto una mostra, mi hanno chiesto quello che avevo, l’unica cosa che avevo era quella lì, non me l’hanno più data. 113883 il mio numero. Quando mi sono tolto il giaccone l’ho buttato via.

Io sono tornato con un frac che ho trovato in un magazzino e un paio di braghe delle SS.

D: In questo comando di lavoro c’erano altri italiani, vero?

R: C’era Caleppi, c’era quello che ho nominato prima Pappalettera, non mi ricordo più i nomi adesso. Sì, c’erano italiani, eravamo un gruppo di Italiani.

D: Solo italiani?

R: No, ma c’era un gruppo di iItaliani abbastanza numeroso. Lì non si stava… Si stava male, intendiamoci, dire che si stava bene sarebbe ridicolo. Siccome era un campo piccolo, c’era meno disciplina. C’era da lavorare perché si andava a scavare per fare le fondamenta per le baracche per i sinistrati, lì si lavorava giorno e notte, acqua, vento. Si andava e si ritornava in baracca con la divisa, quella a righe che ci avevano dato e poi te la mettevi la mattina che era quasi ghiacciata.

D: Il vostro lavoro lì in cosa consisteva?

R: Piccone, badile, carriola per me. Mi hanno dato un piccone, era alto così. Guai se la carriola non era strapiena. Caleppi ha avuto lì il periodo più brutto della sua esistenza. Gli hanno rotto una gamba apposta di botte e doveva trascinare la carriola con la gamba rotta. Si trascinava così, con la mano trascinava la carriola.

Ha trovato per fortuna il medico, era un medico iugoslavo che parlava molto bene l’italiano che ha avuto compassione, in un certo senso direi che l’ha curato anche, se curare si può, intendiamoci, perché lì non c’era niente. Almeno per un certo periodo è riuscito a toglierlo dal lavoro.

Poi quando siamo tornati, siamo rientrati a Mauthausen, ricordo che ho vissuto il momento della Liberazione con Caleppi abbracciati a piangere tutte due in quel di maggio. Durante il viaggio del rientro Caleppi è stato costretto, è stato ricoverato in un ospedale svizzero perché è stato malissimo, molto male.

D: Il campo dov’eravate, questo sottocampo, era grande, era piccolo, c’erano molte baracche?

R: Piccolo, piccolo, 400 baracche. Sant Aegid.

D: Era recintato come tutti i campi?

R: Recintato con i fili spinati naturalmente con l’alta tensione.

D: Rispetto al paese il campo era vicino al centro abitato o era fuori?

R: No, era staccato, ma la popolazione in un certo senso ci ha aiutato, lasciava cadere delle patate, dei pezzi di pane. Io ho avuto anche un’esperienza, l’ho scritto anche sul mio libro, di una SS, di una giovane SS che mi sorvegliava. Sono stato portato da solo a fare un terzo lavoro. C’era questo giovane SS, avrà avuto diciotto anni poverino, faceva una pena. Io stavo peggio di lui, ma comunque…

Ad un certo momento ha lasciato cadere un pacchetto. L’ho visto il pacchetto, ma continuavo a lavorare. Se per caso mi muovo, quello lì mi… Lui continuava a guardarmi, poi mi ha fatto segno di prenderlo.

Allora mi sono fatto coraggio. Erano biscotti. Questa è stata una cosa stupenda. Questo ragazzino che evidentemente forse era anche lui lì per forza, non era che sia stato uno che ha avuto questa idea, forse suggerita dalla famiglia, dalla mamma certamente, da qualcuno. Ho avuto questa sorpresa.

Poi il problema era mangiarli o non mangiarli? Se sono avvelenati? Li ho tenuti in tasca. Poi la fame era fame e li ho mangiati.

D: Voi al lavoro lì, diceva prima che eravate addetti a degli scavi, a costruire dei basamenti…

R: Sì.

D: Lavoravate per qualche ditta?

R: Questo non lo so. Non lo so perché lì si vedevano solo deportati, Kapò, capisquadra, persone civili non ne ho mai viste. Può anche darsi.

D: Quando siete ritornati a Mauthausen più o meno quand’era? Quando è stato evacuato…

R: Siamo tornati… Dunque, la Liberazione è stata il 5 maggio, un mese prima circa, cioè quando le truppe russe stavano sfondando il fronte tedesco. Siamo tornati quasi quasi assieme ai profughi che lasciavano a piedi naturalmente, dormendo per terra, dormendo sui marciapiedi, dove capitava.

Poi ci hanno portati dentro nel penitenziario, è durato quattro/cinque giorni questo trasferimento perdendo parecchi amici, parecchi compagni perché non ce la facevano, si buttavano per terra, gli sparavano e morivano.

D: Era una delle tante marce della morte?

R: Una delle tante marce della morte, come quello che si temeva noi di Mauthausen, parlavano di evacuazione di Mauthausen le SS e l’evacuazione di Mauthausen, qui non ci resta più nessuno.

E invece no, la mattina del 5 maggio al posto delle SS sulle torrette abbiamo trovato i soldati della territoriale che se ne fregavano di noi. Da lì abbiamo capito che… Ma pure fino a quasi all’ingresso degli alleati ci sono state delle SS che hanno sparato, sparavano ancora, ammazzavano fino all’ultimo momento, fino all’ultimo momento, finché un carro armato ha sfondato il portone ed è entrato.

Lei deve sapere che però gli spagnoli aspettavano i russi, avevano preparato delle bandiere. Quando hanno visto che erano gli alleati, hanno fatto marcia indietro. Son cose che capitano.

D: E cos’è successo poi al 5 maggio del ’45?

R: Il 5 maggio del ’45, sentivamo da qualche giorno il rumore dei carri armati, l’aviazione che circolava sopra di noi perciò era chiaro che il fronte si stava avvicinando.

Poi c’era anche radio Fante, la chiamavano ed erano i prigionieri spagnoli, ancora della guerra civile spagnola, che avevano occupato certi posti di scrivano, magazziniere, quelle cose lì. Avevano possibilità di attingere notizie che poi riportavano a noi. Sapevamo che si stavano avvicinando le truppe alleate, nessuno però sapeva se erano alleati o russi. Erano alleati o russi? Poi quando sono entrati abbiamo visto che erano gli alleati.

Ci siamo trovati nella piazza dell’appello grande più di uno stadio tutta strapiena, c’era gente che era riuscita persino ad andare sui tetti delle baracche, non so come abbiano fatto, abbiano trovato la forza di andare.

Lì ci siamo abbracciati piangendo, urlando, siamo liberi, siamo liberi. E c’è stata la Liberazione.

D: Però lì a Mauthausen siete rimasti quanto ancora voi?

R: Un paio di mesi, non di più. Si sono organizzate subito delle commissioni tra le quali c’era anche il Dottor Calore che era proprio l’animatore. Sono andati in Svizzera, hanno preso contatto con la Croce Rossa. Subito hanno promesso gli elenchi dei sopravvissuti, poi ci hanno dato la possibilità di scrivere a casa. C’è stata la Liberazione.

D: Il ritorno invece com’è stato?

R: Il ritorno, sono tornato con un camion dell’esercito alleato. Abbiamo fatto un giro lunghissimo, siamo andati a finire… Abbiamo attraversato tutta la Germania. Poi siamo arrivati a Bolzano. Siamo andati… Non ricordo più, abbiamo fatto un lungo giro. Siamo arrivati fino a Monaco. Mi ricordo Monaco distrutta. E siamo arrivati a Bolzano.

A Bolzano, mia moglie che allora era la fidanzata, era stata a Bolzano due giorni prima ad aspettarmi assieme a mio fratello, ma invece il giorno in cui sono arrivato io non c’era.

C’era un camion organizzato dal comune di Isola della Scala per accogliere i deportati, quelli che rientravano. Sono salito, sono rientrato a casa.

D: Ed era quando questo?

R: In giugno, verso la fine di giugno mi sembra. Ho trovato mia madre che non aveva più lacrime perché aveva perso il marito in guerra. Quando è venuta ad accompagnarmi alla stazione di Porta Vescovo, quando siamo partiti per la Russia, perché io ho avuto anche questo grande onore, di partecipare anche alla Campagna di Russia, lei ha detto: “Ho perso il marito, adesso perdo anche il figlio”.

Quando son tornato invece che le ho telegrafato da Rimini. Che son rientrato a Rimini, non ha voluto venire alla stazione perché temeva di vedermi o senza una gamba o senza un braccio.

D: Al ritorno dalla Russia?

R: Al ritorno dalla Russia.

D: Era?

R: Quella era una storia…

D: Ha partecipato all’Armir, al Don?

R: Io sono stato tra i primi in Russia con il SIR, Corpo di Spedizioni Italiane in Russia. Dove siamo andati in Russia, qui è successa una cosa che Mussolini certamente non s’aspettava. Non so se voi avete letto qualche libro di storia, non quelli scolastici perché non dicono niente quelli scolastici. C’è una vecchia edizione di Einaudi dove dice che quasi tutti i comandanti partigiani erano ufficiali reduci dalla Russia.

Perché siamo partiti con la testa piena della propaganda fascista, i russi mangiano i bambini, i russi qua, i russi là e invece abbiamo trovato una popolazione di una dignità assoluta veramente.

Molti italiani, ma molti italiani nella grande ritirata si sono salvati per merito delle donne russe che li hanno raccolti, li hanno scaldati, li hanno nutriti. Molti italiani. Molti anche si sono accasati, sono rimasti lì.

Io ho avuto la fortuna di evitare questa ritirata perché mi sono ammalato. Per fortuna mi sono ammalato. E’ triste dire che è una fortuna ammalarsi, ma comunque è stata una fortuna, mi hanno rimpatriato prima. Ma lo stesso quella popolazione che ho conosciuto io aveva una dignità estrema. Povera, ma guardi, una cosa… Un rispetto, rispetto persino per noi che eravamo degli invasori. Ci davano, anche quel poco che avevano qualche volta ce lo davano da mangiare perché non arrivava il cibo.

Poi io sono simpatizzante dei russi. Adesso ho visto all’ospedale, mia moglie è tornata dall’ospedale pochi giorni fa, c’era un’infermiera russa. Il tipo di russo… Io ho scritto un racconto su un incontro che ho avuto in Russia con Capascha, era una partigiana russa.

Eravamo diventati… C’era un affetto. Poi l’ho trovata morta su un camion. Ho trovato questa russa, quando l’ho vista ho detto tu sei Capascha. Di una bellezza… Bella, bella, bella e lei ha voluto leggere il libro.

D: Agostino, del tuo trasporto della deportazione quanti siete tornati vivi da Mauthausen?

R: Questo non lo so. Dicono che siamo tornati circa l’8-10%, ma cifre esatte non ne ho. Non mi ricordo, pochi comunque, siamo tornati in pochi.

D: Di Isola della Scala in quanti sono stati deportati?

R: Di Isola della Scala siamo stati arrestati in 10 e siamo tornati in 3.