Morelli Vittorio

Vittorio Morelli

Nato a La Spezia il 06.07.1920

Intervista del: 07.06.2000 a La Spezia realizzata da
Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari

TDL: n. 122 – durata: 59′ circa

Arresto: 21.11.1944 a La Spezia

Carcerazione: a La Spezia: Flage e Caserma 21° Fanteria, a Genova al carcere Marassi, a Milano a San Vittore

Deportazione: Bolzano

Liberazione: il 30.04.1945a Bolzano.

Autore della fotografia: Giuseppe Paleari

Organizzazione materiali ed inserimento dati: Elisabetta Mascarello, Elena Pollastri

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

L’intervista è stata trascritta letteralmente. Il nostro intervento si è limitato all’inserimento dei segni di punteggiatura e all’eliminazione di alcune parole o frasi incomplete e/o di ripetizioni

Mi chiamo Morelli Vittorio, sono nato a La Spezia il 6 luglio 1920.

Nel periodo della guerra, io sono anche invalido di guerra, rimasto ferito in Albania, facevo parte della Divisione Acqui, però sono rimasto ferito il secondo giorno di Natale del 1940.

Dopo numerosi interventi chirurgici al braccio sinistro, alla gamba ecc… sono stato poi nel ’43 messo in congedo assoluto, date le mie condizioni fisiche menomate.

Nel 1943, nel marzo del ’43 qui a La Spezia, visto che avevano iniziato i primi bombardamenti, ma non massicci, poi avvenuti nell’aprile, la gente spaventata ha iniziato a sfollare la città, pur rientrando al mattino quelli che erano al lavoro. Poi alla sera ritornavano a casa.

Anche noi dalla stazione dove abitavo in via Paleocapa n.3, siamo sfollati in località Bonviaggio, sempre di La Spezia. Una località sopra Migliarina, bisognava andarci per la strada.

Lì poi sono venuti i grossi bombardamenti dell’aprile che hanno colpito duramente l’arsenale, la città ecc… Noi però eravamo lassù, un po’ al riparo da questi bombardamenti che avevano distrutto in modo molto forte la città di La Spezia.

Per alcuni mesi siamo stati abbastanza discretamente, a parte il fatto degli allarmi continui ecc… Io venivo a lavorare, allora lavoravo con il Comune di La Spezia.

Poi è sopravvenuto l’8 settembre, i tedeschi si sono impadroniti rapidamente della città, anche perché poi la resistenza italiana qui non c’è stata, diciamo la verità. Gli alpini in località Bottania hanno abbandonato tutto e se ne sono andati a casa. La Marina la mattina, se non vado errato, del 9 o 10 settembre è salpata, ad un certo momento non abbiamo più visto nessuna nave da guerra, se ne sono andati. Poi è successo quello che è successo.

Qui nel golfo non c’era più una nave militare.

Noi siamo stati praticamente alla mercé dei tedeschi che si erano impadroniti della città. Impadroniti direi che è proprio la parola giusta. Il valico del Bonviaggio, la Foce. Ricordo che una mattina mi pare intorno al 10 settembre capitai in piazza Verdi, dove sempre qui a La Spezia c’erano i tedeschi nel palazzo delle Poste, esiste tuttora, nelle due scalinate c’erano i tedeschi accucciati per terra con le loro mitragliatrici, con le cose, i cartucceri, però alla popolazione non hanno fatto nulla perché non c’è stata nessuna reazione da parte nostra. Si limitavano soltanto ad osservarci, eventualmente a reagire se avessimo reagito. Ma ciò non è accaduto.

Ho continuato il mio servizio giorno dopo giorno con il Comune, all’Ufficio Censura di giorno.

Poi nel pomeriggio passavo da Migliarina con il tram e mi recavo poi a casa, in questa casa, chiamiamola così, non era veramente proprio una casa ma quasi, di sfollato insieme ad altre famiglie.

Viene però l’8 settembre. Allora cosa succede? L’8 settembre era già venuto, come avevo detto prima. Lì avevano installato anche una stazione di Brigate Nere, le quali mattina e sera controllavano i documenti a tutti. Dovevamo avere la carta d’identità, farla vedere. Oggi c’era uno, domani un altro, e chiedevano continuamente questi documenti.

Va bene, fino a qui non era ancora successo nulla. Se non che prima il primo novembre i repubblichini, cioè i facenti parte della tristemente nota Repubblica Sociale Italiana di Salò, avevano formato queste Formazioni Nere, le cosiddette Brigate Nere, ed in più la Guardia Repubblicana, sempre formazioni fasciste che aiutavano, collaboravano strettamente con i tedeschi ecc…

Il primo novembre del ’44, anzi, alcuni giorni prima, due o tre giorni prima avevano messo dei gran manifesti nella frazione di Migliarina, lì dove io ero sceso dal tram, dovevo poi farmela a piedi fino a Bonviaggio. Avevano messo dei gran manifesti dove dicevano: il giorno primo novembre dalle ore 12 saranno passati per le armi dodici banditi. Alle ore 12.

Ancora prima mettevano anche i bandi, come diceva il mio amico Montefiori, per tutti gli ex appartenenti al Regio Esercito, la Marina, l’Aviazione, dovevano presentarsi entro e non oltre una certa data. Coloro che non si presentavano venivano dichiarati disertori e passibili di passare dal Tribunale Militare di Guerra e passibili anche di fucilazione.

Ma una buona parte di questi non si presentarono, dovettero per forza andare ai monti.

Io da quel lato lì non mi preoccupavo molto perché ero già invalido di guerra, siccome ero ferito gravemente con il braccio in anchilosi, facevo il mio lavoro e…

Fui chiamato una volta insieme ad altri giovani di Bonviaggio se volevo aderire a loro. Dice: “Anche se tu non sei in grado di fare… però potresti sempre collaborare con noi”. Dico: “Guardi, ci penso un po’ sig. Tenente, poi ne riparleremo”. Ma poi non era vero. Ero contrario a loro perché non mi piacevano, avevano certe facce, né i tedeschi, né niente. Io la guerra l’ho già fatta, cosa devo ancora…

Allora il primo novembre insieme con il mio padrino buonanima dice: “Io quasi quasi domani è il 2 novembre e devo andare al cimitero a trovare le mie figlie decedute, però perché non ci andiamo oggi?” Dico: “Va bene, andiamo oggi”. Facciamo la strada del Bonviaggio per recarci a Migliarina e poi proseguire. Dico: “Eugenio, così si chiamava, vedi, siamo qui all’incrocio che là si va a… avevano messo dei manifesti che avevano fucilato della gente, a mezzogiorno ancora non avevano fatto niente però mi sembra che ci sia qualcosa che non va”. Vedo le saracinesche dei negozi mezze abbassate, dico, qualcosa è successo, si è spaventata la gente, le donne…

Abbiamo avuto il coraggio di recarci sul luogo dove hanno fucilato sei partigiani, che il Montefiori li ha conosciuti in carcere. Erano lì distesi per terra, di marmo ormai, il sangue rappreso per terra, e le Brigate Nere erano dentro quella caserma che ridevano, parlavano ad alta voce ed ogni tanto intramezzati da sonore risate, vero?

Però lui, il mio padrino si è avvicinato a questi poveri giovani che avevano i pantaloni da marinaio, barbe incolte da una dozzina di giorni, scalzi. Erano letteralmente tagliati a metà dal fuoco dei mitra. Cioè c’era il vuoto fra la parte superiore del corpo e la parte inferiore. Tagliati, proprio ci passava… Io li ho guardati, poi ad un certo momento il mio padrino che credeva di poter riconoscere qualcuno ha detto “No, andiamo, andiamo”. Lo spettacolo era orribile poverini.

Le finestre intorno tutte chiuse, le persiane… Forse ci sarà stato qualcuno ma non si è fatto vedere. E noi ce ne siamo andati.

Questo, 20 giorni dopo poi il grosso rastrellamento effettuato il giorno 21 novembre a Migliarina, ecco che io come al solito, come me anche tanti altri, dal Bonviaggio siamo venuti… Non si sapeva di questo. Quando arriviamo al … dice: “Un controllo”; un grosso controllo, le Brigate Nere, che bloccano.

Io ho detto, ho pensato, io praticamente sono contrario a loro perché non li posso vedere, però insomma, anche se avessi parlato con qualcuno dove ero sfollato io ad alta voce, ma quello era un antifascista di vecchia data ed io gli davo ragione. Speriamo che non abbia sentito qualcuno, che non mi abbia denunciato.

In sostanza vengo giù ed ho detto: ma, tanto se non è un giorno o l’altro faccio vedere i documenti. Invece due o tre Brigate Nere mi si avvicinano, “Dove va?” “Io vado al lavoro, sono sotto al Comune.” “Vieni un po’ con noi”. Con i mitra puntati…

D: Vittorio, ma questi erano fascisti?

R: Erano Brigate Nere, formazioni di fascisti di allora, sì, erano fascisti. Mi mettono in un vasto cortile dove già ce ne erano parecchi, perché io ero capitato alle otto e loro erano già lì dalle sette e mezzo, perché nelle prime ore del mattino avevano iniziato il famoso rastrellamento, man mano che arrivavano venivano imbottigliati come dei pesci.

Mi portano lì. Mi trovo in mezzo ad una moltitudine di giovani. Siamo qui anche noi, non abbiamo fatto niente. Tutti non avevano fatto niente, erano tutti innocenti. Ci saranno stati dei partigiani veri, però i più erano presi, anche quelli di una certa età avevano preso.

Anzi, lì debbo dire l’episodio, un signore di una certa età, avrà avuto allora quarantacinque anni, era stato fascista fino alla caduta del fascismo. Il quale, eravamo vicini ad un muro che dava sui campi, sempre lì alla Flage, dove ci avevano tutti sistemati in quel modo. Disse: “Io sono stato fascista fino ad ieri l’altro, loro lo sanno, a voi forse non vi fanno niente perché risulta che… però a me mi pestano bene e poi non so che fine farò. Se qualcuno mi dà una mano… Se mi vedono mi sparano. Io tento il tutto per tutto”.

Bene, aiutato da alcuni presenti, io non l’ho potuto aiutare per via del braccio, l’hanno aiutato a salire, lui è salito ed è poi scappato per i campi. Cosa che poi mi ha ripetuto quando finita la guerra lo rincontrai. Dice: “Guardi, sono fuggito, ho fatto avvertire a casa che io sono riuscito a fuggire”. Va bene, fino a lì questa persona è scampata alla morte.

Noi poi ad uno ci hanno riportato sempre lì alla Flage in una vasta stanza in cui erano sedute parecchie persone, tutti in borghese. Anche persone di fascisti di provata fede, ma erano in borghese con la camicia nera. In piedi c’era il capitano delle SS italiane Battisti, trentino di nascita, che era stato Ufficiale dell’Esercito, ma dopo l’8 settembre si era naturalmente subito arruolato di là con le SS, ed era questore di La Spezia. Un boccione aveva, il quale prendeva i nostri documenti, a me ha detto, aveva già la carta d’identità che ci avevano requisito subito all’entrata, mi ha chiesto come mi chiamavo, ho detto Morelli Vittorio. Lui dice: “Morelli Vittorio, abitante in via Bonviaggio…” Però guardava poi tutti quei signori che ormai sapevano come si dovevano comportare, ed hanno fatto cenno con la testa che non mi riconoscevano, come infatti era vero.

Però un giovane di bassa statura, un certo Capitani, che poi ho saputo dopo che si chiamava Capitani, fa al capitano, dice: “Sì, ma lo conosco io di vista”. Dice: “Lo vedevo prendere il filobus al mattino, al pomeriggio”. Dico: “Sì, perché mi reco al lavoro, io sono impiegato al Comune, vado e vengo e poi vado a casa”.

Però ad un cenno particolare, che tra di loro si intendevano, ha fatto un cenno in cui invece di lasciarmi uscire, come qualcuno usciva anche anziano ecc… mi ha fatto accomodare di nuovo in una stanza sempre li alla Flage, dove praticamente c’era ancora molta gente nel cortile, ma io e tanti altri che ho trovato già nella… ci avevano messi lì da una parte.

Lì ci siamo stati tutta la mattina fino addirittura alle due e mezzo del pomeriggio. Per fortuna uno che non conoscevo ma che era di Migliarina, un certo Gianardi Oriente, dato che era venuta una sua sorella a trovarlo, non so come abbia fatto a passare, dice: “Guarda abbiamo fame, ho fame, portami qualche cosa”. Allora questa sorella poverina ci ha portato una marola di pane grossa con due uova fritte, bianco e rosso naturalmente, in mezzo. Ebbene, quest’uomo ha fatto un po’ come il Nostro Signore, ha spezzato il pane e ne ha dato metà a me. Non ha potuto darlo a tutti perché ci guardavano ma abbiamo mangiato io e lui.

Verso le ore due e mezza circa, tre meno un quarto, si apre il cancello della Flage, entrano due camion venuti per prenderci. Ci hanno fatti salire sui camion e poi, lo chiamavano Comandante, ma io so che è stato prima autista del Vescovo di allora di La Spezia, e poi successivamente del Federale di La Spezia Avvocato Enzo Toraca, ed era Aurelio Gallo, un tipo sornione, veneto, parlava poco, guardava di traverso anche quando ancora non era successo niente.

Bene, era assunto a torturatore che i partigiani che prendevano li portavano nell’ex Caserma del 21°, a La Spezia, e li torturava con dei sistemi medievali. Mettevano le cose elettriche, sotto le unghie… Insomma, li torturava per farli parlare.

Bene, quel giorno lì venne lui. Non aveva gradi, aveva i pantaloni alla cavallerizza neri, con gli stivaloni, un giaccone di pelle nero, un berretto quasi da autista ma senza fregi. Lo chiamavano, qualcuno dice: “Comandante, noi non abbiamo fatto nulla.” Tutti quelli che erano sul camion. Ci hanno preso.

Allora lui disse, lo ricordo sempre, “Per questo dovete ringraziare quelli che voi chiamate patrioti, che si sono infiltrati qui in città. Noi avremo modo di appurare se siete innocenti o meno. Comunque adesso vi portiamo via. Se uno non ha fatto nulla non avete da temere.”

Noi ormai eravamo lì, il primo camion esce dalla Flage, percorre via Fonte Vivo di fronte al carcere, e poi giù in città, piazza Verdi, salita, c’è una salita, e siamo finiti in via XX Settembre sempre qui a La Spezia, e poi ad un certo punto c’era una Caserma delle Brigate Nere. Si sono fermati un po’.

Ricordo che le Brigate Nere erano proprio dei barbut, quasi tutti barbut con il mitra sulla spalla. Uno di loro, di quelli di questa stazione delle Brigate Nere, disse all’autista: “Oggi l’avete fatta una bella retata”, disse. Noi eravamo lì.

Poi giù dopo poco ci hanno portati alla vecchia Caserma del 21° Fanteria, e di lì messi nelle varie celle. Io ero attiguo a quella dei sacerdoti, avevano arrestato numerosi sacerdoti, don Mori e tanti altri. C’era persino il cappellano della Milizia, don Pieroni, che disse una mattina di quei tre giorni che ci siamo stati, disse: “Dopo 16 anni di milizia questo è il premio”. Era cappellano della Milizia, figuratevi, era stato in Africa, la Campagna d’Africa. Avevano arrestato anche lui. Bene.

Noi siamo stati tre giorni. Ci hanno interrogati anche i tedeschi che erano SS, “Ma come mai voi altri?” “Noi non abbiamo fatto nulla, ci hanno preso…” Uno alla volta ci prendevano… Io sono impiegato lì al Comune, potete chiederlo, c’è anche della gente che prima era nell’esercito ed adesso sono passati nella milizia perché è cambiata… Ma loro si figuri se andavano a chiedere, ormai eravamo lì nelle loro mani.

Al terzo giorno… In cella io mi sono trovato con molta gente, in una cella dove ci si stava in quattro o cinque eravamo una decina. C’era il tavolaccio dove una volta mettevano i militari puniti, un po’ in pendenza. Ricordo un particolare, quelle scatole di salsa vuote che una volta si prendeva la salsa ad etti, era vuota, ed era piena, scusate il termine, di urina, che poi dopo che era pieno colava tutto per terra. Lì poi ci chiudevano dentro per ore ed ore.

Ho provato anche a sdraiarmi ad un certo momento, hanno detto: “Noi ci siamo un po’ riposati, vacci anche tu”. Ci sono andato ma si figuri, duro come non so che cosa. Siamo stati tre giorni in quelle condizioni lì.

Alla sera del terzo giorno ci hanno ricaricato sui camion, e nel piazzale ricordo che c’erano tutti quegli ufficiali della Guardia Repubblicana in stivaloni lucidi, tutte divise perfette, che ci osservavano incuriositi mentre ci facevano salire sui camion. Poi hanno aperto le porte del cancello e via, per il lungo viale che conduce poi al lungo mare, per portarci al cosiddetto Molo Pirelli.

Ma nel momento dell’uscita le donne di Migliarina e di Bonviaggio ecc.. tra le quali mia madre erano tenute a distanza dal cancello, però… “I nostri ragazzi…” “Vittorio…”. Qualcuno mi ha detto: “Guarda che c’è anche tua mamma”. Hanno riconosciuto le sorelle, le mamme, e qualcuno è riuscito a riconoscere. Io impietrito dal dolore, il cuore mi si era impietrito, anziché guardare verso la mamma mi sono afflosciato con il cappotto che avevo nel camion, e non l’ho voluta vedere. Poteva essere l’ultima volta.

Dopo di che siamo andati al Molo Pirelli, ci hanno scaricati, e lì c’erano ad aspettarci le bettoline che ci portavano a Genova. C’erano ad attenderci quattro o cinque soldati tedeschi, forse della Wermacht, quelli lì, erano seduti su delle latte vuote a modo di sgabello e ci hanno indicato gli oblò che ci dovevamo… Infatti uno alla volta, due alla volta o tre. Io ho detto a qualcuno: “Aiutatemi”, perché con questo braccio bisognava andare giù e… “Va bene, non ti preoccupare che ci pensiamo noi”.

Però nel frattempo i fascisti che ci accompagnavano, i soldati tedeschi si erano limitati inizialmente a dire, ad indicarci di calarci giù. Uno dice: “Badoglio, traditore, Badoglio, traditore”. Allora quelli lì con queste parole si sono rimboccati le maniche ed hanno incominciato a darci calci nel sedere, spinte, ci hanno brutalmente fatto… non so come ho fatto a non farmi male.

Dopo di che, dopo ore ed ore di navigazione si sentiva qualche colpo di mitragliatrice, non so cosa avevano visto durante la traversata, che era di sera, di notte.

Siamo arrivati a Genova che abbiamo, scusate il termine, rimesso tutto. C’era un lago per terra nella bettolina che faceva paura.

Quei soldati che ci accompagnavano, tedeschi e fascisti, hanno detto: “Ci sono tra voi…” Ci avevano messo così, a modo di corona lì, eravamo ormai fermi, arrivati al molo di Genova. “Ci sono tra voi professionisti, avvocati?” “Io sono professore”. Quell’altro dice: “Io sono ingegnere”. “Io sono avvocato”. Bene, bene, mi fa piacere. Disse: “Allora a questi signori qui date una ramazza, devono…” Allora noi, parecchi di noi si erano… Dice: “Sono anche anziani…” “No, lo devono fare loro”.

Poi tra l’altro ricordo benissimo che sono venuti due militari della Monterosa, Alpini della Monterosa. Uno era un po’ più anziano, era Sergente Maggiore, e l’altro era Caporale Maggiore. I quali si sono rivolti anche a noi, e parlando bonariamente, diciamo così, tra virgolette, dicono: “Cosa avete fatto?” “Non abbiamo fatto niente”. Tutti innocenti naturalmente, anche se lì per lì… Però poi un uomo anziano di circa cinquantasei anni dice: “Io ero Commissario di… Sicurezza al Canaletto”, sempre una località prospiciente il golfo a La Spezia. Dice: “Chissà quanti schiaffi hai dato alla gente”. Dice: “Io ho cercato di essere sempre umano”. “Ma aspettavi gli americani…”. Gli ha mollato due schiaffi a questa persona anziana, ma secchi, i quali risuonavano in quel momento sinistramente. Noi si stava tutti zitti.

Poi un altro l’hanno preso in divisa di Tenente della Sanità. Un bonaccione, faccia bianca e rossa che attualmente l’ospedale porta il suo nome al reparto infettivi. Non è più tornato dal campo di sterminio di Mauthausen. Gli disse: “Anche tu aspettavi gli americani?” Dice: “Io veramente cercavo di fare del bene alla gente che si sentiva male, non ho guardato niente.” “Ah sì?” e lì hanno schiaffeggiato queste due persone.

Dopo di che, per farla breve, intanto nel frattempo hanno fatto ripulire per bene a tutti questi signori che erano ingegneri, avvocati, professori ecc…

Dopo di che all’uscita dal bettolino c’era già la Brigata Nera di Genova schierata in due file, con quelle lampade a torcia, come si suole dire oggi, che ci aspettava. Ci hanno fatto salire su dei camion coperti con dei teloni, e ricordo che io dovevo salire su uno dei tanti camion che erano lì a nostra disposizione. Forse uno sporgeva un po’ con la schiena e formava come una gobba. Allora uno da terra delle Brigate Nere con il mitra gli ha dato una cassata di mitra. Un urlo che non le dico perché gli ha fatto anche male a questo disgraziato qui.

Poi ci hanno portato a Marassi. A Marassi ci hanno assegnato ai vari reparti, io ero nella quarta sezione, e mi trovavo in cima ad altri due, uno ero un ex Sott’ufficiale di Marina giovane, che avrà avuto intorno ai ventitre, ventiquattro anni. Io avevo ventiquattro anni e lui ne avrà avuti ventitre, ventiquattro. Un altro di venti anni, suo fratello commerciante, con un negozio vicino alla nostra Pubblica Assistenza in via Priori che ora ha cessato. Quello lì era il fratello, che è morto anche lui a Mauthausen, non è più venuto a casa. È morto si può dire tra le braccia del papà a guerra finita. Il campo è stato liberato dai russi, mio figlio ha avuto la forza di guardarmi negli occhi e mi è morto tra le braccia. Poi è riuscito a portarlo a casa, a tumularlo nella tomba di famiglia.

Bene, ero con queste due persone qui. I quali erano sfiduciati. Lì in carcere pervenivano anche delle notizie dal di fuori, dicevano che i russi avanzavano sul fronte est, che avevano occupato parte della Polonia, che erano alle porte di Varsavia. Ma tutti sappiamo che poi il Maresciallo Stalin aveva dato ordine di fermarsi ad un certo momento. Ma loro dicevano: “Fanno a tempo, purtroppo, a portarci via e ad ammazzarci ancora tutti.

L’altro dei due invece diceva: “Ma no, speriamo bene, la guerra non potrebbe durare…”. Io ero lì con loro, con questi due.

Da mangiare erano soltanto due buoni sfilatini di pane, ma una volta al giorno, e ci davano da mangiare torsoli di cavolo senza pasta, senza nulla. Poi quel poco di condimento che galleggiava sopra questa brodaglia di cavoli, di torsi di cavoli, se lo scremavano e lo portavano via i carcerieri che erano di ruolo per portarselo a casa, perché mancava il condimento. A noi praticamente acqua sporca. Di buono ripeto, c’erano quei due fili di pane che noi divoravamo all’istante, dopo di che fino all’indomani non si mangiava più.

Ad un certo momento mi hanno fatto un interrogatorio. Poi ero andato giù, mangiavo di appetito, mangiando così poco ero rimasto debilitato. Noi ci siamo stati sessanta giorni, dal 24 novembre del ’44 fino al 31 gennaio del ’45, sessantanove giorni.

Mi hanno interrogato. Ma nell’uscire in quel momento non mi avevano ancora picchiato, un mancamento, diciamo un giramento di testa forse, sono caduto battendo violentemente la testa, la fronte. Lì mi è venuta un’emorragia oculare. Tutto il sangue negli occhi. Io ho fatto così… prima tutta nebbia e poi non ho più visto niente. Lì mi è venuto poi male, mi hanno portato…

Allora cosa è successo? Che da lì mi aveva assistito nei primi giorni anche la buonanima del nostro caro compagno Bettacini, che poi è morto poverino. Però quando mi è successa quella disgrazia lì mi hanno cambiato, dalla Quarta Sezione mi hanno passato al piano terreno in un altro stanzone, perché poi me l’ha descritto uno che era lì con loro. Dico: “Ma come è questa?” . Guardi, non c’è come quando uno perde la vista che si acuisce l’udito, e poi si chiedono tante cose. Con quello lì mi confidavo perché avevo una paura addosso. Dice: “Ma io non ho fatto nulla. Loro sono stati catturati in combattimento, dimostrano molto coraggio, ma io ho tanta paura. Ho tanta paura perché qui hanno già fucilato cinquantanove persone al Passo del Turchino tre mesi fa”, diceva. Non è escluso, se ammazzano qualche tedesco ci ammazzano a noi, ne prendono dieci di noi. Non ci rendiamo conto.

Dico: “Altroché se ci rendiamo conto, ma cosa dobbiamo fare?”

Bene, con questo Angiolino, si chiamava, aveva una paura… Ed era lì ad assistere noi, ma detenuto anche lui.

Bene, lì in questa Quarta Sezione mi sono trovato a contatto con tre ragazzi, uno di diciannove anni, uno di Savona di ventidue e poi l’altro di venti di Genova, i quali li avevano catturati in combattimento, poi rimasti feriti li avevano ricoverati al San Martino di Genova, ed in quell’occasione le famose crocerossine che c’erano in tempo di guerra, ne so qualcosa io quando ero stato ricoverato ferito ad Ancona ed a Bologna, erano lì intorno a noi, mi avevano lavato…

Allora c’erano ancora le crocerossine che facevano però parte della Repubblica Sociale. Nel passare accanto a loro dicevano coraggio. Poi erano anche piantonate da militi fascisti, questi tre ragazzi qui.

Ad un certo momento, questo me l’ha raccontato uno di loro, hanno detto: “Coraggio ragazzi, i camerati, fatevi coraggio”. Allora lui ha detto: “Non siamo camerati, siamo partigiani”. Aver visto la smorfia di questa donna, che però poi è proseguita. Poi li avevano portati lì e li tenevano si può dire come ostaggi.

Ecco, ritorniamo poi alle cose pratiche. Io avevo bisogno di andare anche alla toilette, chi è che è venuto in mio soccorso, che mi ha aiutato tante volte? Lui, il Montefiori Aldo che aveva la mansione di scopino, aveva il modo di poter girare nei corridoi. “Caro Vittorio” dice “ti aiuto io, quando hai bisogno io vengo”. Veniva e mi accompagnava alla toilette, poi mi veniva a riprendere, e così via.

Naturalmente provvedeva anche alla mia pulizia, poverino, perché lì cosa vuole, la roba che arrivava da fuori era poca. Avevano il coraggio di chiamare quando arrivava qualcosa, magari in un altro corridoio, risultava naturalmente assente ed allora gli fregavano tutto. Quando chiamavano quello non rispondeva perché non c’era.

Io ho ricevuto sì e no due paia di calze.

D: Vittorio, dopo più di sessanta giorni di carcere lì a Marassi..

R: Settanta giorni.

D: Settanta giorni, ti hanno portato a Bolzano.

R: Sì, ma non è finita. Non è finita. Io da cieco ero lì con questi poveri ragazzi che hanno dimostrato… Tre di loro ed altri diciassette fanno parte dei martiri di Cremasco di Genova. Sono stati prelevati, costoro, questi tre insieme agli altri, la notte dopo San Giuseppe, perché avevano ucciso due tedeschi in città e ne hanno prelevati dieci, tra i quali quei tre lì.

Li hanno portati via e li hanno fucilati, questi poveri figlioli. Ricordo che pieni di bontà anche verso di me a Natale mia mamma sì che era venuta… a piedi… Dice: “Ti aveva portato anche un bel dolce, ma il dolce se lo sono mangiati loro perché io non ho ricevuto niente”.

Ebbene, loro avevano ricevuto dei ravioli e li hanno per così dire distribuiti un po’ a tutti noi che eravamo lì dentro.

Ritorniamo indietro. Per una settimana… In seguito al fatto che io avevo perso la vista. Mi chiamano le SS tedesche, praticamente i padroni del carcere erano loro, di fascisti ne esistevano uno o due. Mi chiamano e dicono… “L’hanno picchiata?” Dico: “No”. Anche se mi avessero picchiato bisognava dire di no. dico: “Per la verità ho subito l’interrogatorio ma praticamente mi è venuto male dalla debolezza, e sono caduto a terra.

Nel frattempo quando mi ha chiamato c’era già l’oculista che veniva da Genova, il quale mi ha visitato con degli strumenti, ricordo che mi ha fatto alzare le dita come fanno loro, poi visitato bene gli occhi, per bene. Dice: “Purtroppo è un’emorragia oculare, non si può neanche dire che al paziente qui possa ritornare la vista domani o dopo domani, può andare anche alla lunga, può durare dei mesi. Speriamo che non duri degli anni, ma non è messo bene”.

Allora loro avevano preso una decisione, cioè di rimandarmi a casa. In quella settimana che io credevo di andare a casa, purtroppo in quelle condizioni lì la mamma mi avrebbe aperto le braccia lo stesso, ma ero in quelle condizioni lì, ecco che proprio dopo una settimana circa mi viene il Brigadiere Morelli, che si chiamava come me ma che non eravamo affatto parenti, assolutamente. So che mi dava del lei, ed era anche un picchiatore quello lì, ma con me… poi in quelle condizioni. Mi ha detto: “Ti vuole il capitano Battisti, ti vuole dire qualche cosa”. Io mi sono alzato, mi hanno aiutato ad alzarmi che ero seduto, e mi ha portato in una stanza.

Ricordo che, ripeto, l’udito si era acuito lì, ho sentito che… praticamente avevo l’impressione che ci fosse solo lui… Mi ha detto: “Ma lei non è mica il figlio di Morelli dei tram?” Dico: “Sì Brigadiere, perché lo conosceva?” “Sì, perché io ero bigliettaio”.

Dopo un cinque minuti di questo discorso, io credo che ci sia stato solo lui, ecco che sento uno scalpiccio di passi ed entrava, perché poi era lui che ha parlato, è entrato il capitano Battisti, che poi tra l’altro era questore fascista di La Spezia in quel periodo.

Dice: “Ma in un primo tempo hai fatto il tuo dovere ed ora no?” dico: “Cosa devo fare in queste condizioni, ho una gamba che cammina male.” Dice: “Basta, poche parole, dimmi chi ti ha introdotto al comitato di…” ed ha fatto diversi nomi. Dico: “Ma non conosco nessuno io, non so nulla. Se devo dire un nome che me lo fate dire voi non è vero, io non li conosco.”

Quello a forza di ripetere… alla fine ha detto va bene, tralasciamo che tanto tu c’eri.

Poi mentre ero lì hanno fatto entrare, perché si è sentito lo scalpiccio di numerose persone, delle persone dietro che parlavano… Dice “Lo conosceva questo?” “No”. Dice: “Dottor Campodonico”, c’era anche Campodonico, pover’uomo, che anche lui era stato pestato prima, “Lo conosceva?” Dice: “No”. Don Stretti, il famoso sacerdote… “Sì, lo conosco io, c’era al comitato”. Io mi giro, anche da cieco, dico: “Ma come fa a dire così che non è vero?” “Carogna, vedi?”, con quel vocione che aveva, “Vedi? Innocente, lo si mandava a casa questo, anche se è in queste condizioni ma…” Poi un altro ha detto: “Sì, lo vedevo io lì alle riunioni.” Insomma, su quattro due no e due sì.

Allora poi quelli lì li hanno fatti allontanare, ho sentito che si allontanavano.

“Perdo la pazienza, mi vuoi dire?” Poi sentivo che sfogliava. Dice: “Allora hai partecipato a delle azioni contro le forze italo-tedesche?” Non le chiamavano tedesche, germaniche, italo-germaniche in località.. Queste località della provincia, ha citato numerose località. Dico: “No”.

“Allora eri qui?” “No”. dice… Mi è toccato dire: “Sì, ero lì.” Perché poi l’ho detto dopo, perché lui ad un certo momento.. perdo la pazienza ed è stato zitto per un mezzo minuto, un minuto non ha detto più niente. Tutto ad un tratto io ero lì fermo, senza vedere, mi è arrivato un ceffone, un manrovescio con quelle manone che aveva lui. Mamma mia… “Carogna” dice, “allora ti vuoi decidere a dire dove hai partecipato a delle azioni?” Insomma, alla fine del discorso, dopo che ho detto due o tre località, perché poi avevo già saputo che ci massacravano di botte, la morte del Dottor Valenti, del domenicano Padre Pio che con la tonaca bianca e nera e la parte bianca era rossa. Era come una specie di Bud Spencer quell’uomo, robusto, ma gli hanno fracassato anche delle sedie sulla tesa. L’hanno tramortito. Noi avevamo già recepito queste.

Dice: “E’ inutile che continuate a negare, loro vogliono le vostre confessioni e nient’altro, poi vi lasciano…”

Prima di dire sì mi ha gonfiato la faccia di schiaffi, ma di quegli schiaffoni che mi hanno fatto venire una faccia che per una settimana in cella mi faceva sempre male.

Poi però ha fatto anche un’altra cosa. Io avevo l’impressione che mi uccidesse, avendo fatto il militare. Sai cosa faceva? Con la sua arma di ordinanza, io l’avevo vista quando mi aveva preso la carta d’identità all’inizio che mi avevano arrestato, aveva un pistolone da una parte a tamburo. Aveva tolto le cartucce dal tamburo ma io cosa ne sapevo? Ho detto “Mi ammazza, signor capitano mi ammazza, muoio innocente”. Lui zitto. Aveva tolto tutte le cartucce dal tamburo per picchiarmi con la parte metallica nelle mani. Perché istintivamente con questa con ci arrivo, ma con quell’altra cercavo di difendermi. Dopo che mi aveva dato lo schiaffo mi difendevo, oppure lo facevo anche prima che me ne desse un altro.

Allora lui mi picchiava… Insomma, mi aveva fatto venire delle mani gonfie come palloni, e la faccia le dico… Tanto è vero che quei tre fucilati di Chiaravasco, dopo che mi hanno… dice: “Morelli l’hanno pistou” in genovese, “Guarda che faccia, guarda che mani”.

Da lì altro che a casa, mi hanno riportato in cella.

Ma poi cosa è successo? Che mi avevano fatto firmare i verbali con la croce, mi ha fatto richiamare per mettere una firma… anche se l’ho messa male ma mi ha fatto firmare nome e cognome, come se ci vedessi, ma non vedevo niente. Anche quello.

Poi cosa è successo? Sono stato lì con quei poverini fino all’ultimo, poveracci, facevano anche dei nomi dei capi della resistenza di Genova, hanno nominato Taviani, hanno nominato il professore tal dei tali, il Cardinale, parlavano, ma io non li conoscevo. Taviani era professore in camicia nera, anche se mi sentono è la verità, a palazzo degli Studi al tempo del fascio. Però poi è uno dei capi stimati della resistenza, qui non c’è nulla da dire. A quell’epoca erano tutti fascisti, fuori che Perotti però, il professor Perotti ha perso il posto ma non ha mai aderito al fascio. Si è trovato in Germania durante la notte dei cristalli, che poi ha scritto quel bel libro.

Comunque a Genova hanno fatto dei nomi, ma eravamo tra di noi che tutto è rimasto lì.

Dopo la sera del 31 dicembre hanno fatto un grosso appello, ci hanno portati tutti in fondo al carcere dove c’era un grosso salone, ed hanno chiamato tutti i nomi di quelli che erano stati arrestati a La Spezia. Ricordo che avevano fatto il nome Linari Achille, presente, Linari Ettore, presente, e poi tanti altri nomi che ora mi sfuggono, e che purtroppo… Anche quei due che erano con me, Boni e quell’altro, Corticelli, li hanno chiamati anche loro e sono partiti prima di noi. Li hanno portati in Germania e sono morti.

Noi invece siamo rimasti lì ancora, dopo averci riportato in cella, dopo quell’appello, e siamo rimasti lì fino al 31 dicembre del 1944. Va bene?

La notte tra il 31 dicembre o il mattino del primo febbraio ci hanno fatti uscire, naturalmente ammanettati due alla volta. Il tedesco ricordo che mi ha ammanettato con Torraca Franco, mi ha detto: “Ammanettare così guidare lui” ha detto a me. Ha visto che sono cieco. Per dire ti ammanettiamo, ti potremmo lasciare anche così, però ti ammanettiamo perché ti guidi lui a salire, a scendere. Mi hanno aiutato poi a salire su dei torpedoni. Hanno fatto varie tappe, siamo passati in mezzo alla neve a quell’epoca lì, anche a fare un po’ d’acqua fuori, uno di qua, uno di là, insomma…

Poi ci hanno portato a San Vittore a Milano. Abbiamo oltrepassato il famoso portone di San Vittore e siamo andati su nelle celle. Qui ci hanno rincuorato i carcerieri, hanno detto: “Ragazzi, dovrebbe finire presto, fatevi coraggio.” Ci hanno dato una bella scodella di riso, non so se avevamo la gabella noi o ce l’hanno fornita loro. Abbiamo mangiato.

Sempre rincuorandoci i carcerieri di Milano ci hanno trattato bene.

Dopo di che è proseguito per Bolzano. Siamo arrivati alla mattina del 2 febbraio. Naturalmente la spedizione che era partita il giorno prima, quel giorno lì ci hanno lasciato fuori dai blocchi per tutto il giorno nudi. Ricordo che c’erano anche i frati tutti nudi, poverini, ma lì non ci si faceva caso per niente.

Ci hanno lasciati nudi nel piazzale. Si tremava dal freddo ma va bene così. Qualcuno era caduto anche per terra. Questo me l’hanno detto perché… Dice: “Ma sai che è caduta della gente anziana che non ce la faceva più?” “Io non lo so”, dico, “se cado o se sto diritto non lo so”. Perché poi hanno disinfettato tutti i vari blocchi, specialmente i due blocchi politici, il D dove c’era Perotti ed il blocco E dove siamo andati ad infilarci noi.

Poi ci hanno messo dentro ai blocchi, ammassati come acciughe che non ne parliamo. Sporcizia. Anche se avevano disinfettato ma dopo poco i pidocchi la facevano da padroni. Tanto è vero che vicino a me c’era il professor Pardi, Ugo Pardi, e l’ingegner Del Chicca che erano amici, proprio vicini a me, i quali uno non ci vedeva, credo che il professor Pardi ci vedesse poco o niente, io addirittura ero cieco, e l’altro dice… “Ma non hai trovato Terenzio tu?” Dice: “Io ne ho contati duecentodue oggi” di pidocchi. Con quello che si mangiava, una volta al giorno… dice: “Io ne ho contati appena centonovantasette” di pidocchi. Schiacciavano…

D: Vittorio, ti ricordi il tuo numero di immatricolazione di Bolzano?

R: Sì, 9044.

D: Ecco, parlaci un attimo del campo di Bolzano, Vittorio.

R: Dunque, anche se io non ci vedevo, ma diciamo mi informavo. Cercavo di informarmi da chi mi aiutava. Dicevo: “Ma chi c’è qui nel campo?” Dice: “Se tu potessi vedere c’è tanta gente, ci sono gli ebrei, le donne ebree che le abbiamo qui vicine” diceva, “poi ci sono anche dei vecchi, proprio stamattina ne ho visto uno.” Ma adesso non so se era Aldo che me lo diceva o qualcun altro che si era preso in quel momento lì… Forse Aldo… Dice: “Ho visto un vecchio alto, anche vestito abbastanza bene, con le ghette”. Dice: “Ma lo sai, siccome la propaganda fascista li faceva vedere con il naso adunco l’ho visto un po’ di profilo ed aveva veramente il naso adunco come lo faceva vedere la propaganda, con le ghette”. “Poi ci sono dei bambini piccoli”. Dico: “Hanno preso anche i bambini?” “Sì, perché sono figli degli ebrei ed allora bambini piccoli, donne di qualsiasi età ed anche uomini anziani o giovani, purché siano ebrei li prendono”.

Loro sprezzantemente li chiamavano judei.

Poi c’era la signora Ida di Bolzano, una signora alta che poi l’ho conosciuta dopo a Bolzano nell’86, ed il professor Ferrari in infermeria, che mi ha fatto anche delle punture per gli occhi, mi avevano visitato. Fatto numerose punture a più riprese per cercare di aiutarmi.

Anzi, direi anche una cosa, il famoso tenente Titho era superiore al Maresciallo Haage, ma il Maresciallo Haage penso che era quello che sotto sotto comandava più di quell’altro, perché era lui che ordinava cappelli giù, cappelli su al mattino. I primi giorni anche io insieme agli altri facevo cappelli su, cappelli giù.

Poi però il Maresciallo, saputo che io ero cieco, mi ha mandato a chiamare, e qualcuno mi ha accompagnato là, anche Aldo, dice: “Il Maresciallo ti vuole vedere”.

Mi hanno portato… “Allora questo venga esentato da questo capelli giù, dal salutare…” Che poi per umiliazione ce lo facevano ripetere che non andava bene, al tempo. Qualcuno mi ha detto, c’erano anche le scenette in fondo che me l’hanno detto, che quel quadro lì l’ha dipinto mio figlio, quello che abbiamo in Associazione, con delle fotografie che ci ha dato Aldo. Quelle scenette lì ci mettevano, che poi lo descrive bene anche il professor Perotti, quelli che giudicavano più pericolosi dei pericolosi, c’era anche un Ammiraglio in divisa.

Poi qualcuno ha assistito anche a questa pietosa scena, che mentre li portavano nell’ora d’aria.. l’Ammiraglio che era già di una certa età, un Ammiraglio con una greca con filetto mi hanno detto, rimaneva un po’ indietro, e lui con il frustino, questo ragazzo tedesco lì lo frustava, quello camminava e raggiungeva gli altri. Era un’umiliazione.

D: Vittorio, ci parli della Liberazione?

R: Quando mi è ritornata la vista, poi così finiamo. Mi è ritornata la vista alla vigilia di Pasqua.

Aldo Montefiori si preoccupava. C’erano i frati che dicevano il rosario, lui: “Ragazzi c’è il rosario”, e ci invitava a partecipare.

Poi il cappellano ha chiesto chi voleva fare la comunione, io detto: “La vorrei fare anche io”. “Sì, sì” e così abbiamo fatto la comunione. La vigilia di Pasqua io poi ho ripreso la vista. Durante la notte ho cominciato a vedere un pochino un po’ più annebbiato sì, ma distintamente in quel momento. Poi sempre un po’ più chiaro, un po’ più chiaro, insomma che ho ripreso la vista improvvisamente.

Ho detto a loro: “Come siete brutti” perché li ho visti per la prima volta in quelle condizioni lì, con barba ecc… Eravamo si può dire sulla fine, avevamo assistito anche alla messa del Vescovo di Bolzano, avevano gli svizzeri in consegna il campo, erano diventati buoni anche quelli là, i nostri aguzzini.

Quando… mandavano via tutti, quell’ucraino veniva, diceva: “Raus, Raus“…qualcuno che nicchiava li mandava fuori. Quando passava vicino a me io sentivo il passo pesante di quegli scarponi che aveva, passava e non mi diceva niente perché aveva ricevuto l’ordine di lasciarmi stare.

D: Vittorio, ecco, la Liberazione.

R: La liberazione, gli ultimi giorni di aprile. Già dal 30 aprile potevamo uscire. Io sono uscito invece la mattina del primo maggio, mi hanno preparato. Ormai la vista mi era tornata, ho potuto vedere la gente, tutta una festa. Può darsi che abbia incontrato anche il professor Perotti, ma lì per lì eravamo così…

Uscendo ci hanno messo sui camion, anche i tedeschi erano diventati… Io ricordo che avevo preso, perché ero un po’ fissato con gli elmetti tedeschi, durante la Prima Guerra Mondiale facevano vedere i tedeschi, io andavo al cinema, erano il nostro nemico. Prendo quest’elmetto, può servire anche come…

Arrivo con un bel fagotto, lo portavo a casa come cimelio. Ebbene, poi abbiamo proseguito parte a piedi e parte in camion. Ricordo che sul lago di Garda ci hanno fatto la barba gratis, sono stato condotto dal barbiere, il quale poverino quando ha saputo… io ed altri e ci ha fatto la barba gratis.

Nel contempo c’era la radio accesa, che aveva appreso che il comando Tedesco, l’Alto Comando Tedesco a Caserta aveva firmato la resa con gli alleati.