Marinari Giuseppe

Giuseppe Marinari

Nato il 03/02/1921 a Firenze

Intervista del 07/10/2002, a Firenze

TDL n. 112 – durata 22’

Arrestato il 08/03/1944 a Firenze

Incarcerato alle Scuole leopoldine di Firenze

Deportato nel lager di Mauthausen (Matr. 57.246)

Liberato il 05/05/1945 a Mauthausen

Nota sulla trascrizione della testimonianza:

La trascrizione è integrale e fedele all’originale. Gli interventi del compilatore sono segnalati da parentesi quadre. Per espressioni di difficile interpretazione si segnala l’omissione con la dicitura […]. Alcune ripetizioni ed elementi intercalari in parte non sono stati riportati.

Sono Marinari Giuseppe, nato a Firenze, il 3/2/1921.

D: Quando ti hanno arrestato, Giuseppe?

R: Mi hanno arrestato l’8 marzo 1944.

D: Dove?

R: A Firenze, nel Rione di San Frediano.

D: Ecco, chi ti ha arrestato?

R: Erano militari… fascisti insomma, ecco.

D: E perché ti hanno arrestato?

R: C’era degli scioperi alla Tabacchi, ma noi non è che si fosse… Io ero lì, si era usciti di casa per andare dal parrucchiere, e ci presero, e ci arrestarono.

D: Ecco, ma ti hanno arrestato per strada?

R: Per strada, per strada, come un rastrellamento. Durante un rastrellamento.     

D: Cioè, voi uscivate dalla fabbrica?

R: No no no. Noi durante un rastrellamento. Durante un rastrellamento.  

D: Ed eri assieme ad altre persone?

R: No no. Io… dopo lì ci presero in questo rastrellamento, ci presero altri miei amici che erano lì, nella piazza, o per la strada eh.

D: Ecco, ma era durante il giorno, questo?

R: Sì sì, durante il giorno, la mattina.

D: Erano italiani quindi?

R: Italiani, quelli che ci arrestarono erano italiani. Italiani.

D: E poi, Giuseppe, dove ti hanno portato?

R: Alle Scuole Leopoldine. Alle Scuole Leopoldine

D: Cosa c’era alle Scuole Leopoldine?

R: Niente, era lì, ci portarono tutti lì, e cominciarono lì a beffeggiarci, a tirarci qualche scapaccione ma…

D: Hanno preso i tuoi dati?

R: No no no, non hanno preso niente. Non c’hanno preso niente.

D: E ti ricordi se eravate in tanti lì alle Scuole?

R: Tanti tanti tanti tanti. Eravamo… ora non mi rammento di preciso ma eravamo parecchi già, perché ci fu un rastrellamento in tutta Firenze, e nei comuni limitrofi.

D: Giuseppe, ma ti è stato detto perché sei stato arrestato?

R: No, niente, niente.

D: E tu cosa pensavi?

R: Beh, non si pensava niente perché non si sapeva nemmeno dove ci avrebbero portato perché altrimenti… si era dei ragazzacci eh, non si era mica della gente che si dormiva. Non so mica se si sarebbe arrivati a Mauthausen, magari… La speranza, si diceva: “e intanto ci porteranno a lavorare”. Nessuno sapeva indove, indove…

D: Ecco, e lì, alle Scuole Leopoldine, fino a quando siete rimasti?

R: La mattina e nel pomeriggio con dei camion ci portarono alla stazione di Santa Maria Novella.  

D: Ah, con dei camion!

R: Con dei camion della SS… dei fascisti, della Banda Carità, insomma, ecco… della Banda Carità, fascisti insomma.

D: E vi hanno portato…

R: Alla stazione Santa Maria Novella. Era lì vicinissimo, però coi camion, sopra a dei camion. E poi ci misero in dei vagoni merci.

D: Scusa Giuseppe, tu sei riuscito a comunicare con i tuoi familiari?

R: No no no no. C’era mio fratello lì nella piazza mentre mi portavano via, ma non si rendeva mica conto della situazione.

D: Quindi vi hanno messo sui Transport.

R: Sì, sui Transport e ci hanno portato direttamente a Mauthausen.

D: Ecco, ma proprio dalla stazione siete partiti?

R: Dalla stazione siamo partiti.

D: Quindi le persone potevano vedervi?

R: No, no perché avevano chiuso tutto. E c’era un binario, un primo binario, e sopra questo [binario] c’era tanti vagoni merci, e lì c’erano tutti sopra. E via, partenza.

D: Nessuno v’ha detto dove vi portavano?

R: No, no. Niente niente niente niente.

D: E anche qui, che ora era più o meno?

R: Che era, pomeriggio eh? Pomeriggio, vero? [Marinari si rivolge a Piccioli, compagno di deportazione presente durante l’intervista]. Pomeriggio verso le 2, le 3, anche le 4.

D: Ascolta, c’erano delle guardie?

R: Sì. Dopo da… subentrò l’SS. L’SS, sì.

D: Quanto tempo è durato il viaggio, te lo ricordi?

R: Io non me lo ricordo… Tre giorni, tre giorni, sì. [suggerito da Piccioli]

D: E non si è mai fermato il treno?

R: A qualche stazione ma… mangiare non s’è visto nulla. La prima [sosta] a Vienna, io me lo rammento. Di notte, ci dettero della minestra nelle mani. Era calda, sicchè andava tutta via. Ecco il Monti, viene anche il Monti [compagno di deportazione presente durante l’intervista].

D: Allora, tre giorni e due notti. Tu eri nel tuo Transport, nel tuo vagone, eri su con altri amici?

R: Tutti, s’era tutti insieme: lui, lui [indica probabilmente Piccioli e Monti], io, Enzo Peri, un altro che è morto. Tutti insieme eravamo.

D: Dopodiché siete arrivati a Mauthausen.

R: A Mauthausen.

D: Che tu non conoscevi, non sapevi…

R: No. Durante il viaggio però furono… arrivati a Fossombrone… vero? Mi pare… indove? No, in un campo… [dove] arrivarono tante persone da militare. Ci si fermò, e tra queste persone nel nostro vagone io mi rammento, entrò uno, e disse “Mamma mia, Mauthausen!”, appena si arrivò. Era stato prigioniero di guerra, in questa fortezza, sì sì.

[Voce fuori campo:] ’15-’18.

D: Ascolta, quando il treno è arrivato in stazione a Mauthausen, si è fermato…

R: Si è fermato e poi a piedi siamo andati al campo.

D: Ti ricordi più o meno: la strada era in mezzo al paese di Mauthausen?

R: [Interviene Piccioli:] Non ci siamo fermati alla stazione. Si stava proprio su un binario, quello che si attraversa ora e che si porta su, per andare a Mauthausen.

[Riprende Marinari:] Ecco, e ci portarono su a Mauthausen. Appena s’arrivò lì si apre subito lì indo’ s’era. C’era un gruppo di prigionieri russi subito dietro la porta, d’entrata no? Tutti… tutti poveracci, tutti messi lì… Poi ci fecero ignudare, tutti ignudi lì. Quanto ci tennero?

[Piccioli:] quattro o cinque ore.

[Riprende Marinari:] quattro o cinque ore. Era già freschino. Era freddo là, eh. Tutti ignudi. E poi ci portarono giù, e ci rasarono tutti, di dietro, davanti, dappertutto, dappertutto. E poi il bagno. E poi io avevo delle bollicine, mi mandarono in infermeria. Ecco, e forse lì fu la mia salvezza.

D: L’infermeria quella giù?

R: Sì. Ero scalzo, m’avevano dato un paio di zoccoli, c’ho il 42, m’avevan dato il 38, sicché con le gambe non c’entravo dentro. E c’era la neve alta. Tutta a piedi, sino all’infermeria. Poi arrivai lì… mamma mia! C’era… nei letti dove misero a me c’era altri tre: due di qui e due di là, in infermeria. Chi c’aveva la scabbia, chi c’aveva … tutte queste malattie.

D: Quindi scusami, tu la quarantena non l’hai fatta su al campo?

R: No, l’ho fatta lì. Tant’e vero che loro partirono, e io seppi che erano andati a Ebensee. Quando ci fu un trasporto che andava a Ebensee io mi misi in fila, per andare a Ebensee a trovarli, che…  Uno spagnolo – che poi era italiano, diceva che era spagnolo ma non era vero, era italiano, aveva combattuto contro Franco no, in quei campi lì – e mi tirò addietro, mi disse “Brutto” [Marinari indica no con la mano], tanto è vero che mi disse questo: “il peggio campo che ci sia di tutti i campi che erano nei dintorni”. Poi è venuta un’altra chiamata, quella per il lavoro, a Wiener Neudorf. Si mise lui e [disse] “mettiti anche te dietro a me”. Ci andai, e arrivai a Wiener Neudorf.

D: Ecco, in tutto il tuo periodo di Mauthausen tu sei rimasto giù al Revier?

R: Sì sì sempre al Revier, sempre.

D: Come te lo ricordi il Revier? Ti ricordi in che baracca eri?

R: Era il 5, baracca 5, malattie infette.

D: Ti ricordi se c’era qualche medico italiano?

R: Sì, sì. Eh, mi ricordo, lì c’era un capoblocco tedesco che aveva fatto la boxe. E mi rammento sempre, “chi ha fatto…?”. Io un pochino in palestra ero sempre avanti, ma poca roba. Uno studente di Milano. Me lo rammento come se fosse ora, io che ho fatto: presi certe botte e stetti giorni senza mangiare. Poi sempre lì in infermeria ho conosciuto uno di Milano che si distingueva perché aveva un naso… si chiamava Nicola, Nicola. E poi c’era un altro, che poi ho saputo che era al tram, era al tram A… cominciava con A. Era una persona grande, di Milano, sempre di Milano. Poi niente, ho conosciuto il senatore Caleffi, il senatore Albertini, Giuliano Pajetta, il […], l’altro, oppure poi chi c’era… Ce n’era di gente altolocata, insomma, ecco.                                     

D: Beppe Calore te lo ricordi?

R: No, non me lo ricordo. Ho conosciuto ‘sta gente perché stavo… E poi andetti [andai] a Wiener Neudorf.   

D: Scusa, quando ti hanno immatricolato a Mauthausen, il tuo numero?

R: Cinquantasette due quattro sei, o due quattro cinque [57246 o 245], di preciso non lo so, insomma l’è questo eh.

D: E ti hanno dato anche la zebrata?

R: Sì, la zebrata, subito.

D: Quando da Mauthausen ti hanno mandato nel campo dipendente di Vienna, con cosa vi hanno portato?   

R: Sempre co’ camion. Camion e via.

D: Ah, in camion.

R: Camion, camion, sì, sì, camion.

D: E lì, vi hanno portato in questo campo dipendente…

R: In questo campo che era vicinissimo a una fabbrica di di… la fabbrica di… madonna, me lo rammento sempre… Le pinne, le pinne, le pinne! Le pinne per il mare, per il mare, sì. A Wiener Neudorf.

D: E lì ti hanno immatricolato ancora o no?

R: No, no, no, sempre perché… dipendevamo sempre da Mauthausen. Eran campi chiamiamoli di lavoro lì eh.

[voce fuori campo:] di smistamento.

D: Ecco, cos’è che facevi tutto il giorno lì in quel campo?

R: Tutto il giorno? No al campo non si stava mai, [solo] a dormire. Noi s’andava via alle 7, all’8 s’era… a un quarto alle 8 s’era in fabbrica, e ci smistavano nei vari posti per lavorare. La maggior parte era… Io, per esempio, ero a portare i ferri. C’erano delle seghe, no? Allora si portava dei ferri perché c’era… e si portavano direttamente lì sopra, sopra insomma alla via, per farli segare.

D: C’erano anche dei civili in questa fabbrica?

R: Sì, uh… mamma mia! I civili eran peggio di quegli altri. Sì, sì, c’era anche dei civili.

D: Ecco, e oltre agli italiani c’erano altri deportati?

R: Sì, c’erano polacchi, c’era qualche spagnolo, russi, polacchi. I russi da ultimo da noi vennero, tutta gente giovane.

D: Ti ricordi il nome della ditta?

R: No, non me lo rammento. C’è anche sul libricino ma ora non me lo rammento. [voce fuori campo. Marinari si rivolge un ex deportato]. Perché l’ho visto lì nel libro… quel campo lavorava solamente per quella ditta.

D: Ecco ascolta, e poi ritornavate nel campo.

R: Sì… No, nel campo lì eh! No a Mauthausen. Lì. Sì, sì, lì.

D: Lavoravate solo di giorno o avevate anche dei turni di notte?

R: No, no. Noi si lavorava sempre, sempre di continuo, mentre gli altri [i civili] andavano a mangiare. A noi davano il mangiare che l’era il mangiare lì su, ci davano da mangiare anche lì. E poi si lavorava 12 o 13 ore. Ma insomma non era come loro a Ebensee, ecco [fa cenno al compagno deportato Piccioli presente]. L’era dura però non era…

D: E lì Beppe, lì sei rimasto fino a quando?

R: Sono rimasto per 10, 12, 11 mesi… 12. Perché dopo siamo dovuti rientrare a Mauthausen, perché avanzava le truppe, da una parte russi e dall’altra … facevano picca a chi arrivava prima e loro ci portarono via. Si fece una marcia, si partì in circa 600. S’arrivò 150, così.

D: Ecco tu dicevi, scusa, ritornando lì alla fabbrica, tu facevi solamente quel lavoro lì, il fatto di trasportare questi ferri?

R: No, a volte, a secondo di quando c’era bisogno. Si è fatto anche la prova dei famosi… Quando venivano gli aeroplani, con la contraerea, han fatto un rifugio e gli han fatto delle fondamenta co’… non so, con qualche cosa. Insomma, ce lo facevano provare a noi, quel giorno. Saranno stati cento aeroplani americani, pareva un terremoto. Da tutte le parti s’andava, in questo casermone no, però non andava giù. Ce lo facevano fare a noi. […]

D: Ascolta, e poi stavi accennando alla marcia di trasferimento.

R: La marcia di trasferimento: ci portarono via, a piedi, di lì a Mauthausen. Capitò acqua, vento, capitò ogni ben di Dio. Si dormiva proprio in terra. Mangiare nulla: ortica o lumache, quel che si trovava.

D: E chi vi faceva da guardia?

R: Oh, la SS.

D: E siete arrivati a Mauthausen.

R: Sì, siamo arrivati a Mauthausen però non c’era posto. Allora s’è dovuto aspettare. Ma siamo arrivati in pochi eh, un centinaio […]. Eh sì, quando si fermavano pum, […] e l’ammazzavano. E arrivati su ci misero in una quarantena, però si vedeva che era la fine, insomma.

D: Più o meno ti ricordi in che periodo sei arrivato lì a Mauthausen?

R: Io sono arrivato, sono ritornato a Mauthausen nel mese di aprile, ma ai primi eh … gli ultimi di marzo, gli ultimi di marzo.

D: E vi hanno portato dentro nel campo?

R: Prima ci hanno fatto aspettare fuori perché non c‘era posto, e poi arrivarono a liberare il posto e ci hanno portato su.

D: E lì sei rimasto fino a quando?

R: Fino alla liberazione.

D: Come te la ricordi la liberazione?

R: Eh. [Al]la liberazione morì tanta gente, perché la gente non faceva che mangiare. Gli americani ci portava… il mangiare l’era… si buttava via, allora [al]la gente ce lo diceva: “Non mangiate, state attenti a mangiare perché può essere pericoloso”. Invece mangiavano e li trovavi morti la mattina.

D: Ti ricordi in che baracca eri tu?

R: Baracca 4, tutti italiani; perché dopo ci divisero, fecero tutti italiani e tutti… ci divisero no, ognuno il suo blocco. Era proprio lì all’entratura, dopo un 100 metri dall’entratura, tutte baracche, a sinistra.

D: Ecco, e lì sei rimasto fino a quando?

R: Fino alla liberazione, fino a maggio.

D: Ecco, ma dopo la liberazione del 5 maggio tu sei rimasto lì?

R: Eh sì eh, noi si aspettava sempre di… Ogni tanto partiva una delegazione però non ritornava mai indietro e si rimaneva lì.   

D: E fino a quando sei rimasto lì?

R: Sino alla liberazione, sino al 12… mi pare il 15 o il 12 di maggio.

D: E poi cosa è successo?

R: Nulla, che è successo… è successo tante cose dentro. Aguzzini ammazzati, SS, e il capo del campo lapidato, proprio messo ‘ndo c’era le fosse biologiche, dentro e tirato su, dentro e tirato su. Ma noi… io in quel momento non ero in condizioni tanto… ma dopo un po’, insomma, si sortì fuori anche noi.

D: Ecco, e quando è iniziato il tuo viaggio di ritorno?

R: Alla fine di maggio, ai primi di giugno.

D: E dove ti hanno portato?

R: Noi si è fatto la Svizzera. Noi ci hanno fatto passare dalla Svizzera, di molti in ambulanza, e di molti con dei camion coperti, insomma dei pullman, ecco.

D: Ma in Svizzera vi hanno fatto entrare?

R: Sì sì, sì sì sì. Ci hanno fatto anche un’accoglienza, ci hanno fatto, eh… bene, siamo stati lì tre giorni lì. E poi di lì siamo entrati in Italia. In Italia però non c’era nulla, bisognava arrangiarsi per arrivare a casa.

D: In Italia dove siete entrati?

R: A Bolzano. Di lì ci hanno fatto fare un giro, rientrare a Bolzano. Sono stato all’ospedale di Bolzano perché a quell’epoca avevo la pleurite. Ecco, all’ospedale della Svizzera non ci hanno fatto… non m’hanno fatto passare, no, tanto è vero che tanti si è dovuto andare dalla Svizzera a Bolzano, qualche ricoverato. 

D: Ti ricordi con chi eri?

R: Ero con Vittorio Baldini, famoso combattente di Spagna, poi ero … eh ma ce n’era: Caleffi, Albertini. Poi c’era… c’era tanta gente ma… insomma, avevamo 20 anni, noi ci si conosceva così.

D: Ascolta, ti ricordi se c’era la Pontificia Opera a darvi una mano?

R: No no no, non s’è visto nessuno.

D: Quindi sei arrivato a Bolzano, ti hanno messo in ospedale…

R: In ospedale, e poi son ripartito, son partito col treno e… due settimane tre per arrivare a casa.

D: Ascolta Giuseppe, dici “attraverso la Svizzera con dei camion”, ma li guidavate voi?

R: No no no.

D: Che organizzazione c’era?

R: L’organizzazione della Croce Rossa insomma. Coloro che stavano bene erano questa specie di […], coloro invece che non potevano, che non potevano… erano nella misericordia. 

D: Beppe, tu non sei più ritornato a Mauthausen?

R: Una volta solo. Una volta, poi non son più ritornato, perché la prima volta non feci che piangere, dissi: “Beh, non ci torno più”.

D: Quanti anni fa sei ritornato?

R: [Marinari si rivolge a un presente:] Il primo o il secondo?

[Intervento esterno:]’77, ‘76.

[Marinari:] Il primo o il secondo, via.

D: Poi basta, non sei più ritornato?

R: No no no no no.

D: E nel campo dipendente lì di Wiener Neustadt non se più tornato?

R: No, non c’è più niente. Dice chi c’è stato che non c’è più niente. Niente niente, proprio niente. Perché eran baracche di legno: finito tutto via via, aria.       

D: Cosa ti è rimasto come oggetti, come documenti, se ne hai portati a casa?

R: Nulla, nulla nulla. Io non c’ho nulla di documenti. La Croce Rossa Internazionale… Ora i documenti che ci hanno fatto ora del KZ, dopo la pensione, poi altri documenti io proprio…